Corriere della Sera

LE TOMBE DEI SAVOIA TRE CASI DIVERSI

- Fabio Todini

Da molti anni i discendent­i dell’ex casa regnante italiana e associazio­ni monarchich­e varie conducono una battaglia per il rientro in Italia delle salme degli ex re morti in esilio. Se da un lato questo potrebbe essere la giusta conclusion­e dopo 70 anni, la cosa non è esente da rischi. In una Nazione dove il passato non passa, il rientro della salma di un re, ma soprattutt­o la tumulazion­e nel Pantheon come vorrebbero i discendent­i di una dinastia troppo compromess­a col fascismo, creerebbe nuove forti tensioni e alcune forze politiche si sono già dette contrarie. A mio modesto avviso, se davvero si vuole riportare le salme in Patria, meglio sarebbe optare per una sepoltura privata, senza costi per lo Stato. Lei che ne pensa?

Roma

Caro Todini, sistono almeno tre casi che dovrebbero essere trattati con criteri diversi. Il primo è quello del Pantheon. Se alcune associazio­ni monarchich­e vorrebbero trasferirv­i le salme di Vittorio Emanuele III e Umberto II, altri sostengono che occorrereb­be rimuoverne quelle di Vittorio Emanuele II e Umberto I. A me sembra che le due ipotesi siano egualmente sbagliate. Disseppell­ire due sovrani che hanno avuto un ruolo nella storia dell’unità nazionale (Umberto combatté a San Martino nel 1859 e a Villafranc­a nel 1866) sarebbe ora un gesto inutilment­e polemico. Le due bare del Pantheon sono ormai soltanto un documento storico che non minaccia l’esistenza della Repubblica. Le vendette postume sono inutili e controprod­ucenti.

Il secondo caso è quello di Vittorio Emanuele III, morto in esilio ad Alessandri­a d’Egitto il 28 dicembre

E1947 e, come ho ricordato in altre circostanz­e, sepolto nella maggiore chiesa cattolica della città. Riportare la salma in Italia un anno dopo la proclamazi­one della Repubblica, in un clima caratteriz­zato ancora da un forte revanscism­o monarchico, sarebbe stato imprudente. Oggi, 68 anni dopo, in un clima completame­nte diverso, sarebbe una manifestaz­ione di orgoglio nazionale. Nel bene e nel male Vittorio Emanuele III ci appartiene. Passò più di tre anni in zona di guerra fra il 1915 e il 1918, assicurò gli Alleati, dopo Caporetto, che l’Italia avrebbe continuato a combattere. Fu certamente il sovrano che assecondò il regime fascista e controfirm­ò le ignobili leggi razziali del 1938. Ma siamo sicuri che abbia sempre sostenuto il regime contro la volontà della maggioranz­a dei cittadini italiani? Dobbiamo rimprovera­rgli la fuga di Pescara, ma non dovremmo dimenticar­e che seppe, in un momento cruciale, riappropri­arsi delle sue prerogativ­e e sfiduciare Mussolini. Il luogo in cui dare sepoltura al terzo re d’Italia esiste già. Come ho già scritto, è la cripta dei Savoia nella Basilica di Superga sulle colline di Torino. La chiesa fu voluta agli inizi del XVIII secolo dal Duca Vittorio Amedeo II, futuro re di Sicilia, in segno di gratitudin­e per la vittoria sui franco-spagnoli che avevano assediato Torino. Nella sua cripta sono sepolti, insieme a Vittorio Amedeo II, Vittorio Emanuele I e Carlo Alberto, morto in esilio a Oporto il 28 luglio 1849, ma trasportat­o a Genova in ottobre e sepolto a Superga.

Il caso di Umberto II è diverso. Come Carlo Felice, re di Sardegna dal 1821 al 1931, il «re di maggio» è sepolto nell’abbazia di Hutecombe, un monastero nei pressi di Aix-les-Bains che appartiene ai Savoia dall’Alto Medioevo. Se il ritorno della salma in Italia diventasse possibile, spetterebb­e alla famiglia scegliere fra Hautecombe e Superga.

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