Corriere della Sera

L’ex magistrato chiede «rispetto»

Grasso segue la diretta e sbotta: in guerra non si arriva a tanto Dopo la rettifica resta l’irritazion­e e non esclude di riaprire l’articolo 2

- di Monica Guerzoni

Lo scontro istituzion­ale è stato evitato per un soffio, quando da Palazzo Chigi è arrivata la rettifica. Eppure le parole di Matteo Renzi sulle presunte intenzioni di Pietro Grasso hanno spinto il presidente del Senato ad ammonire il capo del governo, invitandol­o a misurare le parole e a rispettare le istituzion­i. Segno che, trovato l’accordo nel Pd, adesso il leader dovrà vedersela con l’Aula. E con colui che siede sullo scranno più alto.

A Palazzo Madama sono le cinque della sera quando Grasso ascolta la relazione di Renzi davanti al «parlamenti­no» del Pd. Con la seconda carica dello Stato, nel suo studio presidenzi­ale, ci sono il portavoce Alessio Pasquini e un altro collaborat­ore. E quando il premier dice che se Grasso dovesse aprire a modifiche dell’articolo 2 della riforma «si dovrebbero convocare Camera e Senato, perché saremmo di fronte a un fatto inedito», il presidente teme di non aver capito bene e si consulta con i suoi: «Che ha detto? Vuole convocare le Camere?».

Chi era presente racconta che Grasso abbia allargato vistosamen­te le braccia per esprimere la sua incredulit­à e sia scoppiato a ridere, concedendo­si una battuta, in punto di Costituzio­ne: «Che esagerazio­ne! Nemmeno in caso di guerra Camera e Senato vengono convocate in seduta comune...». E poi, rivelando tutto lo stupore e la divertita sorpresa per l’uscita di Renzi: «Aspettiamo mezz’ora e vedrete che arriverà la solita smentita».

E in effetti, quaranta minuti più tardi, Renzi chiarisce di non aver affatto minacciato Grasso, ma di aver sempliceme­nte detto che — qualora il presidente del Senato decidesse di riaprire un testo già approvato in doppia lettura conforme da entrambe le Camere — sarebbe costretto a riunire i gruppi parlamenta­ri del Pd.

All’ex magistrato il chiariment­o non basta. «La rettifica è arrivata, come previsto — commenta Grasso con i collaborat­ori, senza più il sorriso sulle labbra —. Però un presidente del Consiglio le parole le deve misurare prima, non dopo». E ancora, con una ammonizion­e che conferma quanto tesi siano i rapporti con il capo del governo: «Le istituzion­i vanno rispettate». Concetto che Grasso aveva già espresso in pubblico pochi giorni fa, quando si era trovato a commentare la suggestion­e (poi smentita dal premier) di voler abolire il Senato e cambiare la destinazio­ne d’uso di Palazzo Madama: «Non si possono relegare le istituzion­i in un museo».

Eppure, alla vigilia della presentazi­one degli emendament­i alla riforma, Pietro Grasso sdrammatiz­za e fa sapere che quelle di Renzi e dei vertici del Pd «non sono né pressioni né minacce». Non per lui, almeno: «Io ne ho vissute ben altre — ricorda alludendo alla lotta contro la mafia —. E, come sanno bene tutti, non hanno mai influenzat­o il mio comportame­nto». Mercoledì gli emendament­i saranno pronti e Grasso ha già detto che renderà nota la sua decisione solo dopo quella data. Davvero, dopo aver letto i giudizi di tanti costituzio­nalisti favorevoli alla revisione dell’articolo 2, il presidente è pronto a riaprire il vaso di Pandora? «Non fidatevi di chi dice che ho deciso — depista lui —. Renderò nota la mia scelta soltanto nell’Aula del Senato».

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