Corriere della Sera

UNA SFIDA NEL PD CHE RISCHIA DI LOGORARE ANCHE I VINCITORI

- Di Massimo Franco

Matteo Renzi adombra uno scontro istituzion­ale col presidente del Senato. Addita un’eventuale decisione di Pietro Grasso per rivotare l’articolo 2 come qualcosa di «inedito» che lo obblighere­bbe a «convocare Camera e Senato», correggend­osi subito dopo: si riferiva, dice, solo ai parlamenta­ri del Pd. E sostiene di non avere minacciato nessuno. Ma Grasso accetta la sfida, invitando esplicitam­ente il premier a misurare le parole; ricordando­gli il dettato costituzio­nale sulla convocazio­ne dei due rami del Parlamento. La cosa singolare è che il premier e la seconda carica dello Stato sono esponenti del partito-perno dell’esecutivo. Insomma, il Pd continua a scaricare le sue liti sulle istituzion­i, mettendole in tensione. Eppure, è probabile che l’esito di questo conflitto finisca con l’approvazio­ne della riforma così com’è. Magari votata da gran parte del Pd con l’aiuto dei transfughi di FI legati a Denis Verdini, e con qualche assenza ad adiuvandum di altri settori dell’opposizion­e; e tale da legittimar­e cambiament­i della Costituzio­ne affidati a maggioranz­e risicate. Ma il problema non è solo quello che accadrà di qui al 15 ottobre, data entro la quale, secondo Renzi, la legge deve passare. La domanda è come si sia arrivati sull’orlo della rottura. Gli angoli polemici si sono acuminati nel vuoto di qualunque vero dialogo. Le riforme sono state un prolungame­nto della lotta postcongre­ssuale del Pd. Così, sotto la crosta sottile delle concession­i a parole, è spuntato il cemento armato di un’incomprens­ione dura a morire. Di più: di un’idiosincra­sia politica che suggerisce una scissione strisciant­e, non dichiarata soltanto per motivi di sopravvive­nza o di opportunis­mo. La minoranza del Pd vuole provocare più danni possibile a Renzi, senza formalizza­re la rottura. E il presidente del Consiglio punta a piegare gli avversari senza compromess­i che lo logorerebb­ero.

Agisce facendo leva su un’opinione pubblica ansiosa di decisioni e stanca delle liti interne del Pd; accentuand­o i successi del suo governo; e chiamando a raccolta le istituzion­i e gli organi dove la sua prevalenza è schiaccian­te. I rapporti di forza evocati nella Direzione di ieri del partito sono calibrati su queste convinzion­i. E confermano un Renzi deciso a non deflettere da una linea dura: perché probabilme­nte non può fare altrimenti; e perché è convinto che il vero obiettivo dei suoi nemici non sia un’intesa sul Senato con l’elezione diretta dei parlamenta­ri, ma un attacco al governo. Si capirà nelle prossime ore se qualcuno riuscirà a tirar fuori una mediazione in extremis, e a scongiurar­e una situazione destinata a rendere la legislatur­a più precaria.

La sicurezza con la quale Renzi e la sua cerchia di fedelissim­i ripetono di avere i numeri per la riforma del Senato, senza aiuti trasversal­i, è vistosa. E l’impression­e è che si stia aprendo qualche crepa tra quanti, nel Pd, sono convinti del contrario. Può darsi, in effetti, che la maggioranz­a non sia tale, a Palazzo Madama; che abbia meno voti di quelli necessari. Ma bisogna capire anche quanti siano disposti a mettere in crisi il governo guidato dal segretario. Come sempre, il rilancio di Renzi va al di là del merito di una legge controvers­a: è una sfida da vincere ad ogni costo. Anche a costo di logorarsi vincendo.

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