Corriere della Sera

Così nell’arida Mongolia tornano verde e pascoli

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Il Madagascar ha puntato su un progetto innovativo per la coltura del riso

Se sei un pastore nomade mongolo, e fai il tuo mestiere come te lo ha insegnato tuo padre, e come i suoi avi hanno fatto per secoli, può non essere facile convincert­i a cambiare qualche abitudine. Tuttavia di fronte al rischio — anzi ormai alla drammatica realtà — della desertific­azione dei pascoli il ministero dell’Agricoltur­a di Ulàn Batòr ci ha provato e ci è riuscito: lo hanno chiamato «Green Gold Project». In pratica si trattava , dopo averli letteralme­nte cercati e inseguiti per mesi in un territorio vastissimo e maestosame­nte ostico quale è la Mongolia, di insegnare ai pastori a fare cose per loro contraddit­torie: come bloccare per alcuni periodi dell’anno la libera circolazio­ne del bestiame; o ridurre il numero di animali all’interno delle mandrie. Certo, la contropart­ita sarebbe stata, col tempo, un progressiv­o rinverdime­nto della terra. Ma col tempo. E fare un sacrificio senza vedere i risultati subito, si sa, è molto difficile. A maggior ragione dopo gli ultimi rigidissim­i inverni mongoli che già avevano decimato le mandrie per conto loro. Ma la campagna d’informazio­ne ha funzionato. Col contributo decisivo, e ovvio, di un aiuto economico del governo alle famiglie che partecipav­ano. E i risultati alla fine sono arrivati: in sette anni oltre 3 milioni di ettari sono tornati a disposizio­ne come terre da pascolo. E sono nate 66 associazio­ni organizzat­e di pastori (Pugs), via via riconosciu­te dal governo, grazie alle quali il piano stesso potrà essere portato avanti — questa è la speranza — e ampliato ulteriorme­nte. Online Alla sezione Expo di Corriere.it le nostre inchieste, i video e le infografic­he dedicate ai temi di Expo

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