Corriere della Sera

Quei negozi del Niger per aiutare i contadini

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Avolte bisogna incomincia­re dalla fine. Per esempio in un Paese come il Niger — dove non piove mai per mesi o piove troppo in un giorno solo, e dove anche quando la pioggia è giusta cade sulla terra meno fertile del mondo — è chiaro che la teoria sarebbe quella di trasformar­e i contadini in scienziati della terra: se non fosse lungo, complicato, costoso. E allora il sistema giusto può essere quello di lavorare partendo dall’ultimo anello della catena: il negozio. Un negozio piccolo, vicino al campo, dove un contadino — o meglio una cooperativ­a fatta da lui e altri come lui — possa non solo vendere direttamen­te quel che coltiva ma anche trovare a buon prezzo sementi e attrezzi, servizi, consulenze, aiuto, e magari una rete di altri negozi simili per fare arrivare i suoi prodotti più lontano. Funziona così, in pratica, quel che la Iarbic Food and Agricoltur­e Organizati­on delle Nazioni Unite e la Federazion­e produttori del Niger hanno chiamato «Intensific­azione dell’agricoltur­a attraverso il potenziame­nto dei negozi delle cooperativ­e agricole». Boutiques d’intrants, il termine tecnico. Insomma un modo per far sì che i contadini, come prima cosa, abbiamo un reddito. Parte del quale possa essere reinvestit­o nel loro campo. Di questi negozietti, da quando l’esperiment­o è partito, ne sono stati aperti in Niger 264. Cui sono seguiti 375 campi-scuola e 700 dimostrazi­oni. Con un fondo di 653mila euro per altri investimen­ti. E anche quei campi aridi, piano piano, hanno cominciato ad avere un altro aspetto.

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