Lo spirito dell’iniziativa? Contro la fame e a favore dell’ambiente, passando da «quello che si può fare» a «quello che facciamo già»
Da quello che si potrebbe fare a quello che già c’è. Dai buoni propositi alle buone pratiche. Expo è anche questo e quando arrivi in fondo al percorso nel Padiglione Zero, biglietto da visita e summa del tema «Nutrire il pianeta energia per la vita», vieni anche fisicamente avvolto da video che raccontano storie di chi ce l’ha fatta. Di chi ha voluto davvero mettere al centro la sostenibilità dell’ambiente, l’amore per la terra, la capacità di inventare un mestiere per contrastare fame e povertà e il trionfo dello spirito di cooperazione. Sono i cinque video delle cinque Best Practices, premiate dalla giuria internazionale presieduta dal principe Alberto di Monaco, che aveva visionato quasi 800 proposte arrivate in risposta al bando lanciato nel novembre 2013. Ne sono state scelte 18, tutte raccontate nel Padiglione Zero. E, come sottolinea Filippo Ciantia, una vita trascorsa nella cooperazione internazionale e manager di Expo (lui ha seguito i cluster, dove si raccontano gli Stati meno ricchi), «la cosa straordinaria è che di queste “best practices” ben 6 arrivano da Paesi che per motivi diversi non so- no riusciti a essere presenti all’esposizione. Ci sono però in questa sala con la loro testimonianza e per noi è una grande successo». Come il Burkina Faso, il Malawi, il Pakistan e perfino la Siria che all’Expo ha dovuto rinunciare per la guerra in corso e che il comitato ha voluto comunque premiare per un progetto sull’introduzione di nuove politiche nell’uso e consumo di acqua e nuovi metodi di coltivazione, che ha coinvolto circa 4 mila agricoltori e 400 tecnici. Così come è stato dato un riconoscimento al sistema sperimentato con ottimi risultati in Madagascar per la produzione di riso.
Le cinque proposte giudicate più forti ed efficaci hanno avuto, come premio simbolico, la realizzazione di un video sulla loro esperienza, quelli proiettati in Expo. Storie che raccontiamo in queste pagine: Tanzania e Mongolia, Niger e Guatemala e l’Italia con il Banco alimentare che in realtà è diffuso in tutto il mondo.
L’idea delle Best Practices ha una sua genesi. Sull’onda di quanto già voluto dal Bureau International des Expositions (Bie) nelle ultimissime edizioni dell’Expo, anche Milano aveva voluto lanciare un concorso per dare visibilità e concretezza ai contenuti dell’evento, cercando di individuare un punto di convergenza tra i temi dell’agricoltura e quelli della cooperazione internazionale. Il bando era stato lanciato nel novembre 2013 e la richiesta era di segnalare progetti già avviati, replicabili anche in altri Stati; oppure iniziative di possibile collegamento fra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, pratiche capaci di far lavorare insieme pubblico e privato e comunque sempre sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Le risposte, 786, sono arrivate da ogni parte del mondo: 357 dall’Europa, ma anche 167 dall’Africa e 112 dall’Asia.
A Ciantia piace ricordare una considerazione che Naomi Klein, autrice del best seller No Logo aveva fatto in una intervista al Corriere: «Diceva che “bisogna passare dall’è possibile allo sta già
accadendo e proprio nel mio territorio”: ecco, noi abbiamo cercato di raccontare questo passaggio». Aggiunge però Livia Pomodoro, membro del comitato di giuria e presidente del Milan Centre for Food Law and Policy, che «bisogna anche avere il coraggio di affrontare a livello globale il tema della cattiva distribuzione di cibo sul nostro pianeta, dove le persone soffrono la fame o, all’opposto, i disturbi legati ad una cattiva ed eccessiva alimentazione». Partire dalle cose pratiche ma non dimenticare l’obiettivo finale, insomma: cibo sano, per tutti.