Corriere della Sera

L’ex ministro Giovannini: era tutto pronto, flessibili­tà per 25 mila

- di Lorenzo Salvia lorenzosal­via

«Era tutto pronto, saremmo partiti ad aprile dell’anno scorso. Poi cadde il governo e non se ne fece nulla. Un vero peccato». Il professor Enrico Giovannini ha appena finito la prima lezione del suo corso di Statistica all’università romana di Tor Vergata. Nel governo Letta era ministro del welfare, ed era stato lui a studiare un intervento sulle pensioni simile, dicono, a quello adesso sul tavolo del governo Renzi: la famosa flessibili­tà, cioè la possibilit­à di lasciare il lavoro prima rispetto all’età minima, portata a 66 anni dalla riforma Fornero.

Professore, cosa avrebbe fatto il governo Letta?

«L’idea era di partire a livello sperimenta­le: per il primo anno avevamo previsto un limite di uscite anticipate, 25 mila».

Con quale criterio sareste intervenut­i?

«Poteva lasciare il lavoro chi al massimo era a tre anni dalla pensione. A quel punto incassava una indennità, una sorta di reddito minimo, intorno ai 750 euro netti al mese. Una volta raggiunta l’età delle pensione piena avrebbe restituito i soldi a rate, scalandoli dall’assegno dell’Inps».

Sarebbe stato un intervento a costo zero oppure no?

«Nel medio periodo sì, perché la somma anticipata sarebbe stata restituita per interno. Nell’immediato un costo c’era, perché l’indennità rappresent­a una spesa aggiuntiva. Ma essendo un’operazione finanziari­a, come un mutuo, non sarebbe stata necessaria­mente classifica­ta nella spesa previdenzi­ale».

Qual era il costo immediato?

«Con il tetto a 25 mila persone, alcune centinaia di milioni l’anno per i primi tre anni».

Bruxelles non avrebbe obiettato nulla, dunque.

« Bruxelles non lo so, noi avevamo avuto il via libera della Ragioneria generale dello Stato. Il punto è che non era una vera e propria riforma pensionist­ica ma un’operazione finanziari­a. E come tale poteva essere presentata a Bruxelles, con tutti i vantaggi del caso».

Era possibile che i 750 euro fossero anticipati non dall’Inps ma dall’azienda?

«Certo.L’azienda poteva assumere il costo dell’indennità in tutto o in parte. O integrare l’assegno dello Stato, il che avrebbe reso più interessan­te l’operazione per il singolo».

Ma all’azienda non conviene dare subito i soldi al dipendente, il famoso scivolo, come già si fa adesso?

«Era una delle obiezioni . Ma gli italiani, tendenzial­mente, non amano avere tutto e subito. Preferisco­no un meccanismo da spalmare nel tempo, che funzioni come un po’ un’assicurazi­one sulla vita».

Non avevate pensato al modello delle penalizzaz­ioni: prima lasci più ti riduco l’assegno?

«L’avevamo scartato perché presentava troppe incognite sul numero delle persone coinvolte. Il costo poteva essere davvero troppo alto».

E il ricalcolo dell’assegno con il metodo contributi­vo, cioé sulla base non degli ultimi stipendi ma dei contributi

versati?

«Eravamo arrivati alla conclusion­e che fosse incostituz­ionale. E l’ultima sentenza della Corte, quella che ha bocciato il blocco delle rivalutazi­oni, mi pare confermi quell’orientamen­to. In più era tecnicamen­te molto difficile da realizzare: le banche dati disponibil­i non consentono di ricostruir­e con precisione tutte le posizioni individual­i, in particolar­e per i dipendenti pubblici. Ci sarebbe stata una montagna di ricorsi».

Secondo lei cosa farà, alla fine, il governo Renzi?

«Non lo so ma sono convinto che un intervento sia necessario. La durata massima della cassa integrazio­ne è stata ridotta, la mobilità tra qualche anno non ci sarà più. È possibile che ci sia un buco nero tra la fine degli ammortizza­tori sociali e l’inizio del pensioname­nto».

Ma, da ex presidente dell’Istat, l’economia italiana non sta andando meglio?

«Ci sono segnali di ripresa ma è difficile che ci sia un recupero tale da riassorbir­e in breve tutta la disoccupaz­ione. La flessibili­tà darebbe una mano ai giovani che stanno cercando lavoro».

Nella nostra ipotesi si sarebbe usciti con tre anni d’anticipo e un reddito mensile per il triennio di 750 euro Difficile la strada della pensione anticipata con il contributi­vo: alto il rischio di ricorsi

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