Corriere della Sera

Telecom Italia riapre il dossier torri L’interesse di Cellnex per Inwit

Venerdì il consiglio potrebbe dare mandato a Patuano. Il nodo del prezzo e l’ipotesi Opa

- Federico De Rosa S. Rig.

Telecom Italia riapre il dossier Inwit. La società collocata in Borsa a giugno, in cui il gruppo ha trasferito le torri di trasmissio­ne, potrebbe essere valorizzat­a ulteriorme­nte con la cessione di una quota. Molto probabilme­nte di maggioranz­a. Le valutazion­i sarebbero in una fase piuttosto avanzata e, salvo rinvii, venerdì il consiglio del gruppo telefonico convocato dal presidente Giuseppe Recchi a Rio de Janeiro dovrebbe dare mandato all’amministra­tore delegato, Marco Patuano di avviare la valorizzaz­ione di Inwit.

Telecom ha il 60% del capitale, dopo il collocamen­to in Borsa che ha portato 875 milioni di euro in cassa, complice anche la spinta di Cellnex, la società creata da Abertis per gestire le torri, che meno di un mese prima aveva debuttato alla Borsa di Madrid fissando quei multipli di valutazion­e che hanno poi permesso al gruppo telefonico di massimizza­re l’incasso dell’Ipo. «L’operazione — ha ricordato ieri Patuano — è stata di grande successo, c’è molto interesse. Un altro punto della situazione bisognerà farlo; è il momento di fare un punto con il Cda». E proprio Cellnex, che in Italia ha già rilevato le torri di Wind, adesso è il principale indiziato per l’acquisizio­ne di quelle Telecom. La società spagnola, che ha chiesto a Mediobanca di affiancarl­a nella valutazion­e delle possibili opzioni, aveva tentato di aprire un dialogo già prima dell’Ipo, ma senza esito visto che era stata scelta la strada della Borsa. Poi, a monte della quotazione, ci sarebbero stati altri contatti ma per Telecom era ancora troppo presto. Ora i tempi sembrerebb­ero maturi. Anche se nel frattempo il valore è salito e oggi tutta Inwit vale 2,6 miliardi di euro.

Sul tavolo ci sarebbe più di una ipotesi. Intanto va chiarito se Telecom intende uscire del tutto o mantenere una quota. Oppure approfondi­re l’ipotesi Il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi. Venerdì il consiglio della società Consiglio di amministra­zione straordina­rio, ieri, in casa della Banca Popolare di Vicenza per definire alcuni dettagli del prossimo aumento di capitale, atteso fino a 1,5 miliardi di euro. L’operazione sarà garantita dal gruppo Unicredit e vedrà la partecipaz­ione anche di BnpParibas, accanto a Deutsche Bank, Jp Morgan e Mediobanca, tutte con il ruolo di joint global coordinato­r. L’operazione di aumento è prevista entro l’aprile 2016, contestual­mente alla quotazione in Borsa della banca presieduta da Gianni Zonin. Unicredit ha sottoscrit­to l’operazione «a condizioni e termini di mercato», spiega una nota. L’istituto berico, che negli ultimi due anni ha già realizzato Marco Patuano, amministra­tore delegato di Telecom Italia. La società ha il 60% di Inwit della cosiddetta «midco», una nuova società controllat­a al 100% in cui Telecom trasferire­bbe il suo 60% di Inwit per poi aprire il capitale ad altri operatori di torri o fondi infrastrut­turali.

Sulla carta la soluzione ideale, per massimizza­re l’incasso, sarebbe la cessione della maggioranz­a con annesso premio di controllo. La quota potrebbe anche essere inferiore al 60% in aumenti di capitale per un importo di 1,5 miliardi è chiamato al raddoppio dopo che una ispezione della Bce ha evidenziat­o che quasi un miliardo delle passate operazioni era stato finanziato dalla banca stessa, in contrasto con il codice civile. L’arrivo nel consorzio di collocamen­to di cinque istituti di spessore internazio­nale, unitamente alla garanzia di Unicredit, rappresent­a un passo avanti verso il rilancio del gruppo, oggi guidato da Francesco Iorio, atteso entro fine mese dalla presentazi­one del nuovo piano industrial­e. modo da consentire a Telecom di mantenere una presa sia per motivi di governance sia industrial­i. Il premio di maggioranz­a verrebbe però pagato anche ai soci di minoranza, visto che la vendita di una quota comunque superiore al 30% di Inwit farebbe scattare l’obbligo di Opa. L’asticella, insomma, rischia di essere piuttosto alta.

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