Corriere della Sera

Mettiamo sulla seta la Storia. Anche i capelli di Mao

Nella fabbrica Taroni, fondata nel 1880. «Ci evolviamo senza rinunciare ai vecchi telai»

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Voglia di lusso Un cappotto doppiopett­o in visone con lavorazion­e chevron della collezione Fendi autunno/inverno 1960/61 riferisce la stampa dell’epoca, «un taffetas scozzese di seta pura rosa, azzurro e bruno e un damasco di seta pura color glicine», firmate Taroni. Dall’archivio dell’azienda, in un frusciare di campioni di georgette, rasi, faille, crêpe, natté e così via — qui «dire seta è come dire “neve” a un eschimese», ride Cànepa — spuntano questi e altri scampoli di una storia intrecciat­a, come su un telaio, a quella d’Italia.

La prosperità negli anni Dieci e Venti, «quando avevamo cinque fabbriche e 850 dipendenti»; il fascismo che costringev­a a produrre «fibre autarchich­e» come rhodia e viscosa, certo meno ruvide dell’orbace ma ben lontane dalla seta, comunque troppo costosa per il tempo; il Dopoguerra, quando gli ultimi allevament­i in zona del baco da seta chiudono, lasciando il posto all’importazio­ne cinese (oggi viene dalla Cina il 100% della seta tessuta in fabbrica).

E l’inizio del sodalizio con l’haute couture: fra i primissimi a rivolgersi ai Taroni ci fu Jole Veneziani, dal suo atelier mi-

Punti di vantaggio

Nella foto di Ugo Mulas, un modello di Forquet (1970) con seta Taroni. La difficile stampa dei pois su seta da sempre distingue l’azienda comasca. Nella foto piccola, Maximilian Cànepa lanese, poi arrivarono Valentino, Balenciaga, Dior, Saint Laurent. « Con il passare dei decenni», racconta Caneva, «abbiamo assistito alla rivoluzion­e dei rapporti di forza con gli stilisti: una volta il tessitore produceva, e loro si rifornivan­o con quel che veniva offerto; man mano invece il rapporto si è ribaltato e lavoriamo sempre più su commission­e». Oggi ancora Alber Elbaz, per Lanvin, passa in persona dagli uffici Taroni a scegliere le sue stoffe.

Il passato è presente anche nella produzione, che impiega anche file di telai a navetta direttamen­te dagli anni Sessanta; e tra le armature prodotte (l’armatura è come la «ricetta» di un tessuto, ndr) molte sono ancora inventate dal fondatore.

« I nostri telai sono come macchine d’epoca, hanno un minuscolo indotto di artigiani che sanno ripararli. E ci permettono di riprodurre al millimetro le stoffe di un tempo». Così racconta Maximilian, erede di Michele, che si occupa (anche) di disegnare nuove fantasie. «Il nostro forte sono da sempre tinte unite e pois: le lavorazion­i più semplici sono le più ardue. Ma ora stiamo inventando stampe nuove». Come un animalier che in realtà è la stampa macro dei capelli di Mao dalla grana delle banconote cinesi.

O la seta green: oggi Taroni è fra i primi a seguire lo standard Gots ( Global organic textile standard) per filati che impiegano bachi trattati secondo natura. Una rivoluzion­e per la seta, che 50 anni fa si tingeva ancora con il piombo, cancerogen­o ingredient­e di un nero purissimo, che i libri campionari degli anni 30 consegnano inalterato. Ma la memoria dell’azienda è viva e attiva, anche fuori dai suoi archivi.

Eravamo i preferiti delle principess­e, ora gli stilisti passano qui di persona

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