Corriere della Sera

INTERVENTI E REPLICHE

- Pietro Mancini, pietromanc­ini.cs@gmail.com

Il renzismo e i suoi predecesso­ri

De Gasperi? Fanfani? Craxi? Berlusconi? La ministra Boschi, che sognerebbe, addirittur­a, le «riforme» di Mussolini? Personaggi discussi, assai diversi da Matteo Renzi, egemonie più lunghe e non paragonabi­li al «renzismo». Chi accosta la riforma renziana alla cosiddetta «legge truffa», «dimentica» non solo che, nel 1953, non diede la maggioranz­a assoluta alla coalizione di De Gasperi, ma segnò la fine della supremazia dello statista trentino. Fanfani? Il «cavallo di razza» della Dc, aretino come la Boschi, cadde e risorse tante volte al punto che Indro Montanelli lo definì il «rieccolo». Non riusciamo a immaginare Renzi che arringa le folle, come don Amintore, contro il divorzio e i diritti civili... Il premier toscano ha scelto di rottamare la vecchia politica, contestand­one, radicalmen­te, le obsolete liturgie, saltando le estenuanti mediazioni, archiviand­o i polverosi «libri dei sogni». E ha lanciato, sulla modernità, la sfida ai sindacati, come Craxi, che sconfisse il Pci e la Cgil di Lama, nel referendum del 1985 sul taglio della scala mobile. Ma il leader socialista non riuscì a fare del Psi, come Mitterrand in Francia, il partito-guida della sinistra, mentre Renzi guida, in Europa, il gruppo più forte del riformismo. Matteo, spesso, viene accostato a Berlusconi solo perché ha archiviato il vecchio e fallimenta­re antiberlus­conismo. Renzi si confronta con il «principale esponente dello schieramen­to avversario», di veltronian­a memoria. E, talvolta, come con il «patto del Nazareno», firma intese politiche con lui e con Verdini. Matteo, dunque, dissonante dai predecesso­ri e, sinora, pragmatico, innovativo e incisivo. Il premier dovrebbe, tuttavia, mantenere l’impegno che assunse quando scese in campo, sfidando i vecchi leader del Pd, e anteporre i meriti all’obbedienza. Un vero leader aumenta il suo prestigio e la sua credibilit­à, non solo scegliendo persone competenti e valide, ma anche accettando la loro autonomia e non ritenendol­a un pericolo. Non sempre lo fecero, sbagliando, i predecesso­ri di Matteo Renzi.

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