INTERVENTI E REPLICHE
Il renzismo e i suoi predecessori
De Gasperi? Fanfani? Craxi? Berlusconi? La ministra Boschi, che sognerebbe, addirittura, le «riforme» di Mussolini? Personaggi discussi, assai diversi da Matteo Renzi, egemonie più lunghe e non paragonabili al «renzismo». Chi accosta la riforma renziana alla cosiddetta «legge truffa», «dimentica» non solo che, nel 1953, non diede la maggioranza assoluta alla coalizione di De Gasperi, ma segnò la fine della supremazia dello statista trentino. Fanfani? Il «cavallo di razza» della Dc, aretino come la Boschi, cadde e risorse tante volte al punto che Indro Montanelli lo definì il «rieccolo». Non riusciamo a immaginare Renzi che arringa le folle, come don Amintore, contro il divorzio e i diritti civili... Il premier toscano ha scelto di rottamare la vecchia politica, contestandone, radicalmente, le obsolete liturgie, saltando le estenuanti mediazioni, archiviando i polverosi «libri dei sogni». E ha lanciato, sulla modernità, la sfida ai sindacati, come Craxi, che sconfisse il Pci e la Cgil di Lama, nel referendum del 1985 sul taglio della scala mobile. Ma il leader socialista non riuscì a fare del Psi, come Mitterrand in Francia, il partito-guida della sinistra, mentre Renzi guida, in Europa, il gruppo più forte del riformismo. Matteo, spesso, viene accostato a Berlusconi solo perché ha archiviato il vecchio e fallimentare antiberlusconismo. Renzi si confronta con il «principale esponente dello schieramento avversario», di veltroniana memoria. E, talvolta, come con il «patto del Nazareno», firma intese politiche con lui e con Verdini. Matteo, dunque, dissonante dai predecessori e, sinora, pragmatico, innovativo e incisivo. Il premier dovrebbe, tuttavia, mantenere l’impegno che assunse quando scese in campo, sfidando i vecchi leader del Pd, e anteporre i meriti all’obbedienza. Un vero leader aumenta il suo prestigio e la sua credibilità, non solo scegliendo persone competenti e valide, ma anche accettando la loro autonomia e non ritenendola un pericolo. Non sempre lo fecero, sbagliando, i predecessori di Matteo Renzi.