L’Inter del tutto e subito
La capolista Vince solo con un gol di scarto e concede poco allo spettacolo, ma il club nerazzurro non ha tempo da perdere
La Champions è un obbligo, non un desiderio e Mancini ha scelto la via del pragmatismo ma la rosa ha qualità «europea» ancora da sfruttare
Lo scorso aprile, dopo uno 0-0 nel derby che avvicinava il Chelsea di Mourinho al trionfo in Premier League, i tifosi dell’Arsenal accusarono i Blues di essere noiosi. Volevano così restituire l’accusa che negli anni 80 l’Inghilterra rivolgeva loro: «Boring Arsenal», vincente ma palloso, con tutti quegli 1-0 senza sale. José ovviamente non si scompose: «È più noioso non vincere un titolo da 10 anni…».
Il principio di Mou può servire per capire il fenomeno Inter, leader a punteggio pieno grazie a 4 vittorie tutte con un gol di scarto e nessuna davvero capace di catturare l’occhio. Anzi. Con questa Inter – sostiene l’accusa degli esteti abituati solo all’Olanda di Cruijff – la palpebra di chi non è interista s’abbassa e un po’ forse si indigna: sì, d’accordo, vince però…
Però — ammesso che la questione estetica nel calcio abbia realmente senso e ricordato che la squadra è ancora in chiara fase di costruzione — la praticità è un esito coerente con la rivoluzione in atto nel club. Il ritorno ad alto livello è ritenuto decisivo per la gloria ma soprattutto per la cassa. Da qui il rischio di investire più del lecito, il mercato aggressivo, le rottamazioni nel management: dopo il licenziamento di Fassone, domani Thohir arriva a Milano e altri importanti cambiamenti avverranno. Il tutto per raggiungere un obiettivo: tornare almeno in Champions League, che porta soldi e riattiva il circolo economico virtuoso.
Come nei famosi primi cento giorni di un governo, allora, l’Inter in campo sta pensando alle misure più impellenti e, per questo, non necessariamente dolci. Al resto provvederà poi. Concetto valido in assoluto, tanto più se non si vince da tanto, la ricostruzione della Juventus ha creato un ( momentaneo?) vuoto di potere e il calendario delle prime sette partite è così seducente.
Mancini, nelle sue richieste agli uomini mercato, ha pensato all’europea, consapevole che la supremazia fisica è fondamentale nel calcio moderno. Ne è nata una squadra anzitutto solida, ben bilanciata tra muscoli forti dietro e grande tecnica davanti. L’ideale per partire bene, anche a costo di essere bruttini o noiosi. Come direbbe Mourinho, non è forse peggio perdere da belli?
Ecco perché l’Inter oggi ha come testimonial i bucanieri Medel e Melo, è la migliore difesa, è la migliore nei duelli aerei, è dura da attaccare e fa dell’1-0 la cifra stilistica del momento. Altri dati però fanno pensare che questo primato della praticità sarà un giorno integrato dalla luce del gioco: a parte la dotazione di piedi buoni in cerca della forma piena (Ljajic, per dire, non ha ancora giocato un minuto), l’Inter ha un possesso palla del 61% (non una qualità in sé, ma un indicatore importante), è prima nei dribbling riusciti, la seconda per stazionamento nella metà campo avversaria e ha fatto 5 gol con 3 uomini diversi. Alta qualità intuita, distillata. Ma i prodromi per un altro tipo di calcio sono chiari. Quando la bildung terminerà, e Mancini potrà passare al 4-3-3 o all’europeo 4-2-3-1, è immaginabile che il gioco, e così la percezione collettiva, cambieranno. Se poi non accadrà, squadra e società si accontenteranno di vivere e vincere di 1-0. C’è urgenza, serve tutto e subito. Sostituire i tackle coi colpi di tacco oggi non è la priorità dell’azienda.
Rilancio La praticità in campo corrisponde alla voglia di Thohir di ritrovare in fretta gloria e denaro