Corriere della Sera

«Usa, il calcio cresce, è un’altra vita L’ Italia? Difficile vinca un Mondiale»

- Arianna Ravelli

La vecchia e la nuova vita di Nesta. In alto, con la maglia del Milan la squadra con la quale ha giocato dal 2002 al 2012 Paolo Maldini, comproprie­tario del Miami Fc e la stretta di mano tra Nesta, allenatore, e il suo presidente Riccardo Silva

Una volta lasciato il calcio Alessandro Nesta si è preso due anni di tempo per capire cosa voleva fare da grande. Intanto, però, aveva capito dove: sotto il cielo di Miami, dove si è trasferito con moglie Gabriela e figli Sofia, 9 anni, Tommaso, 8, e Angelica, la terzogenit­a, che è nata lì un anno e mezzo fa: «Ha passaporto americano, ma è italiana, ci tengo, la nostra cultura ce la portiamo dietro ovunque. Qua stiamo bene, ci sarei rimasto anche senza il nuovo lavoro». Qualche settimana fa, però, il nuovo lavoro è arrivato: Nesta è l’allenatore del Miami Fc (neonato team della Nasl, seconda divisione del calcio Usa), una specie di succursale rossonera. Com’è iniziata questa esperienza?

«Molto bene. La stagione parte a gennaio, ora stiamo facendo il mercato. Si parte da zero, bisogna trovare 25 giocatori».

Il mercato lo fa lei? Molti colleghi italiani la invidieran­no.

«Io e il diesse Mauro Pederzoli. Io penso che un allenatore dovrebbe sempre scegliere i giocatori».

Poi c’è Paolo Maldini copropriet­ario: così è sicuro di non essere esonerato! «Spero proprio di no! Io e Paolo abbiamo un ottimo rapporto, a Miami abita nel mio condominio. Il proprietar­io è Riccardo Silva: è ambizioso, c’è tutto per fare bene». A che punto è il calcio in Usa? «Cresce velocement­e, qua ci sono grandi risorse e zero burocrazia. In un anno e mezzo ti costruisci lo stadio. A Orlando ci sono sempre 60 mila spettatori, in Italia manco a vedere la Juve». Sente il suo amico Pirlo? «Sono andato due volte a vederlo giocare a New York, sta benissimo, vive a Manhattan e può girare tutta l’America».

Quando ha deciso che sarebbe diventato allenatore?

«A Montreal, quando stavo smettendo di giocare. Ho capito che solo allenare mi poteva riportare l’adrenalina del campo, della competizio­ne. Quando smetti ti manca troppo, ne hai bisogno, come una droga. Ti manca anche lo stress, la tensione del viaggio in pullman dall’albergo allo stadio. Mentre la vivi ti sembra negativa, ma entrare a San Siro per una partita di Champions è un’emozione unica».

A proposito di tensioni, lei dormiva prima delle partite?

«Magari una finale di Champions un’oretta di sonno me la toglieva, ma non di più...».

Qual è la cosa più difficile nel passaggio da calciatore ad allenatore?

«È proprio un altro mestiere. Credo che la cosa migliore sia dimenticar­e in fretta tutto quello che hai fatto da calciatore, non devi restare attaccato al personaggi­o che eri. Devi ricomincia­re a capire tutte le dinamiche da un altro punto di vista e mi sembra molto più complicato».

Nei panni di Inzaghi avrebbe accettato la panchina del Milan o avrebbe scelto di fare più esperienza?

«È difficile dire di no al Milan, è un’occasione troppo invitante. Magari alla squadra è mancata un po’ l’esperienza di Pippo, ma credo ci fossero altri problemi di carattere societario, per esempio il mercato era stato molto più povero».

Com’è lo stato di salute della Nazionale italiana?

«Dipende dagli obiettivi che ci si pone: non credo sia possibile vincere un Mondiale ancora per diversi anni. Qualche giovane interessan­te comincia a vedersi, ma serve tempo per averne undici forti».

E la tradizione dei grandi difensori com’è messa?

«Beh ci sono Bonucci e Chiellini e ora Romagnoli e Rugani: vediamo se si confermera­nno».

Romagnoli ci porta al Milan e a quella maglia n°13, la sua, che il ragazzo ha voluto indossare subito.

«Si vede che ha qualità e che sa giocare al calcio. Il Milan ha fatto bene a spendere così tanto per un giovane italiano: uno zoccolo duro di italiani è decisivo per vincere. Sperando che il Milan torni in fretta in Europa, avrà la possibilit­à di crescere».

A proposito di giovani difensori: ha visto Calabria, 18 anni, con il Palermo?

«Sì, ha mostrato grande personalit­à. Quando uno entra a freddo pensa più a non sbagliare, invece lui ha rischiato, preso iniziative». Chi sente del mondo Milan? «Sento Abate e Abbiati: le motivazion­i sono fortissime, vogliono tornare a vincere. Ora c’è un tecnico con esperienza e carisma. Possono fare bene».

Ma dove colloca il Milan rispetto alle altre grandi?

«Per me la Juve è ancora la più forte di tutte. Inter, Roma e Milan sono lì dietro. Anche l’Inter? Sì, nel derby non ha fatto chissà che». Mario Balotelli: sarà la volta buona? «Non lo conosco, non posso sapere cosa gli manca. Ma penso che se ogni volta che giocherà metterà in campo lo spirito che si è visto nei 20’ del derby sarà a posto».

Quanto è cambiato il calcio da quando ha iniziato a giocare?

«Per certe cose è proprio un altro sport. Ci sono i social da gestire e gli sponsor. Prima un calciatore aveva solo lo sponsor delle scarpe adesso ne ha 300. Anche i calciatori sono cambiati molto, ma è normale, anche i nostri figli sono diversi da noi».

Ultima domanda: è favorevole all’Olimpiade a Roma?

«Sì, mi piacerebbe. L’ultima volta che sono tornato a Roma l’ho vista sottotono. I Giochi potrebbero dare una rispolvera­ta alla città».

Quando ho smesso di giocare , ho capito che solo allenare mi poteva dare la stessa adrenalina

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