«Volkswagen, Berlino sapeva»
Un documento accusa il governo sui test truccati. Coinvolte 11 milioni di auto
Il governo tedesco sapeva del dieselgate, lo scandalo delle emissioni di gas truccate negli Usa che abbatte per il secondo giorno Volkswagen in Borsa. Lo dimostrerebbe la risposta del ministro dei Trasporti a una interrogazione dei Verdi del 28 luglio scorso. Nel mondo sarebbero 11 milioni le auto con il software per aggirare i test sull’inquinamento.
MILANO Il governo tedesco sapeva del dieselgate, la manipolazione dei controlli dei gas di scarico della Volkswagen negli Usa. Lo testimonierebbe, secondo Die Welt, la risposta del ministro dei Trasporti tedesco a una interrogazione dei Verdi del 28 luglio scorso in cui il governo sostenne come fosse «in corso il lavoro sull’ulteriore sviluppo del quadro normativo comunitario», con l’obiettivo di ridurre «le reali emissioni» dei veicoli.
La seconda giornata dello scandalo del diesel — oltre a sancire un nuovo tonfo in Borsa di Volkswagen e di tutto il comparto dell’auto — è stata caratterizzata dalla caccia a chi sapeva. Con la cancelliera Angela Merkel che ha chiesto «piena trasparenza», la Francia che ha auspicato un’indagine europea, la Commissione Ue che ha ribadito il dovere del rispetto delle norme e gli Stati Uniti che l’inchiesta, penale, l’hanno aperta per davvero.
Partito dagli Usa, però, lo scandalo ha presto assunto una rilevanza mondiale: in giro per il globo, infatti, sarebbero 11 milioni le auto con a bordo il software per aggirare gli standard sull’inquinamento.
Per questo l’amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, intenzionato a non rinunciare al suo posto, sarebbe in realtà a forte rischio. Nonostante le scuse ai consumatori e la difesa dei lavoratori: «Sarebbe sbagliato — ha sottolineato — se il terribile errore di pochi compromettesse il lavoro onesto di 600 mila persone». Il numero uno di Volkswagen America, Michael Horn, ha invece ammesso di aver fatto «un casino», impegnandosi, però, a «raddrizzare le cose con il governo, l’opinione pubblica, i clienti, i nostri addetti e soprattutto i nostri concessionari».
Nel frattempo, però, gli investitori stanno provvedendo da soli a fare i conti con la casa di Wolfsburg: in due giorni la Volkswagen ha perso alla Borsa di Francoforte circa 24 miliardi di capitalizzazione (-19% per le azioni dopo il -18% di lunedì), un terzo rispetto ai circa 76 miliardi di venerdì scorso. E così Porsche, primo azionista di Volkswagen, ha rivisto al ribasso l’utile 2015 per effetto degli accantonamenti da 6,5 miliardi di euro necessari a Volkswagen per far fronte al terremoto economico-finanziario (il gruppo rischia una maxi multa negli Usa fino a 18 miliardi di dollari) e recuperare la fiducia dei clienti. E ovviamente «l’obiettivo sul profitto per l’anno fiscale 2015 di Porsche sarà adeguato di conseguenza». Il dieselgate, in realtà, ieri ha penalizzato in Borsa tutti i titoli del settore auto, Fiat Chrysler Automobiles compresa, che a Milano ha perso il 6,2% nonostante la divisione americana abbia evidenziato in una nota di «non usare il defeat devices », il software che ha generato lo scandalo.
Anche in Italia, comunque, l’attenzione è massima: «Nei prossimi giorni — ha sottolineato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti — avvieremo verifiche che consentano di stabilire se c’è stato un fenomeno di questo genere anche da noi: si tratta di un caso molto importante perché, per un verso, è ambientale e per un altro è anche di concorrenza: truccando i dati, infatti, ci si avvantaggia rispetto ai concorrenti». E va in questa direzione la decisione presa dal ministero dei Trasporti di avviare un’indagine, interpellando sia l’omologatore tedesco Kba che la Volkswagen, come anche la «preoccupazione» espressa dalla ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi e la richiesta del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, «qualora necessario», di «assumere iniziative analoghe a quelle già prese sul mercato americano» come il blocco delle vendite e il ritiro dei veicoli in circolazione «anche a tutela dei consumatori italiani».