Corriere della Sera

IL DEBITO DI RENZI CON GRILLO

- Di Angelo Panebianco

Isondaggi sulle intenzioni di voto attribuisc­ono al movimento Cinque Stelle percentual­i da capogiro, lo indicano come il secondo partito in Italia. La rilevazion­e di Pagnoncell­i, pubblicata sabato scorso dal Corriere, conferma: i Cinque Stelle sono al momento scelti dal 27% degli elettori potenziali contro il 33% di preferenze per il Partito democratic­o. Tenuto conto dell’altissimo numero di indecisi rilevati, però, è difficile credere al momento che in elezioni politiche «vere» i Cinque Stelle possano conquistar­e una così elevata percentual­e di votanti.

Tuttavia, gli orientamen­ti fotografat­i oggi dai sondaggi hanno l’effetto di tenere sotto pressione la classe politica. E dovrebbero anche ricordare a Matteo Renzi quanto grande sia il debito di gratitudin­e che egli ha contratto con Beppe Grillo. Per due ragioni.

La prima è che senza il clamoroso successo elettorale dei Cinque Stelle nelle elezioni del 2013 e la conseguent­e sconfitta (perché di una sconfitta si trattò) di Pier Luigi Bersani e del partito da lui guidato, Matteo Renzi non avrebbe potuto vincere le successive primarie, non sarebbe diventato segretario del Pd, non sarebbe al governo. Furono la crisi e lo sbandament­o indotti fra i militanti e gli elettori democratic­i da quel risultato a spianargli la strada. Tolto il caso dei true believers, dei veri credenti (quelli che credevano e credono nei Cinque Stelle e nei loro programmi), è un fatto che coloro che, in quelle elezioni, votarono Grillo con il solo scopo di scatenare una reazione all’interno della classe politica tradiziona­le, ottennero il risultato voluto: l’arrivo di Renzi ne fu una diretta conseguenz­a.

Ma c’è anche una seconda ragione per cui Renzi deve essere grato a Beppe Grillo. Ha precisamen­te a che fare con i sondaggi testè ricordati. Fin quando il movimento Cinque Stelle continuerà ad essere percepito come il più temibile competitor del Partito democratic­o, Renzi potrà rivendicar­e la propria indispensa­bilità: una variante aggiornata della «diga» incarnata dalla Democrazia Cristiana agli occhi degli elettori ai tempi della Guerra fredda: vade retro Partito comunista allora, vade retro Cinque Stelle oggi.

Si noti che quei sondaggi tolgono anche un po’ di credibilit­à ai propositi scissionis­ti della sinistra del Pd. Se il grosso degli elettori di sinistra che odia Renzi si indirizzer­à davvero verso i Cinque Stelle, gli eventuali scissionis­ti potrebbero trovarsi a dare vita a un piccolo «partito dei pensionati» (magari iscritti alla Cgil) destinato all’irrilevanz­a.

Sembra che il Paese non riesca a sfuggire a una maledizion­e, non riesca a fare a meno di trovarsi di fronte a due alternativ­e, nessuna delle quali davvero allettante. La prima è quella che abbiamo conosciuto nel periodo 1994 — 2011 (anno della caduta dell’ultimo governo Berlusconi): un bipolarism­o «immoderato», fondato sulla delegittim­azione reciproca fra gli schieramen­ti. Il vantaggio di quell’assetto era che permetteva l’alternanza al governo. Lo svantaggio era che il clima da guerra civile rendeva la democrazia assai mal funzionant­e.

La seconda alternativ­a è quella conosciuta nel cinquanten­nio democristi­ano e che, con tutti gli adattament­i del caso, potrebbe trovare una parziale replica nell’era Renzi: un partito elettoralm­ente grande che si colloca al centro dello schieramen­to, in grado di fare incetta di voti sia a destra che a sinistra, e che è anche il più credibile ostacolo al dilagare di forze anti-sistema o percepite come tali. In tale assetto, molto o poco che duri, l’alternanza al governo è di fatto impossibil­e.

Se Renzi supererà lo scoglio della riforma del Senato e se non sarà costretto a fare concession­i alle minoranze sulla legge elettorale, le sue probabilit­à di vittoria alle prossime elezioni politiche saranno assai alte. Per l’assenza di alternativ­e plausibili. Naturalmen­te, devono realizzars­i due condizioni. La prima è che la ripresa economica si consolidi. La seconda è che egli abbia dall’Europa aiuti adeguati per governare (o per dare l’impression­e di governare) l’immigrazio­ne. Se queste due condizioni si realizzera­nno, Renzi avrà vinto la sua scommessa. Continuera­nno in tanti, come hanno fatto fin qui, a dargli del «democristi­ano». Anche se, per la verità, sia le condizioni storiche generali che le stesse caratteris­tiche di Renzi, rendono improprio quell’accostamen­to. Tranne che per la questione della «diga».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy