Confalonieri visita Dell’Utri in carcere: «Dategli giustizia»
Il patron di Mediaset: la sentenza Contrada cambia tutto
Èandato a trovarlo e non era la prima volta, solo che stavolta si è saputo. Non è strano incontrare un amico, se non fosse Marcello Dell’Utri, ed è per lui che venerdì scorso Fedele Confalonieri è entrato nel carcere di massima sicurezza di Parma, lo stesso dov’è rinchiuso Totò Riina. Il patron di Mediaset vorrebbe evitare di parlarne, «perché la cosa mi fa star male e perché non vorrei fargli del male». Poi però accetta di raccontare qualcosa del colloquio «che è stato diverso rispetto ai precedenti»: «Marcello, che finora si sentiva un carcerato, adesso si sente un sequestrato».
La «nuova condizione mentale» di Dell’Utri, secondo Confalonieri, è figlia della «nuova situazione giudiziaria»: «Sono un sequestrato — mi ha detto — perché lo Stato non avrebbe più diritto a tenermi qui». È al «caso Contrada» che si riferisce, alla sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto ingiusta la condanna comminata dalla giustizia italiana all’ex numero tre del Sisde per concorso esterno in associazione mafiosa, siccome gli addebiti erano riferiti a fatti antecedenti al 1994, anno in cui la Cassazione elaborò per la prima volta in modo compiuto la fattispecie di reato.
«Anche per Marcello è così, anche lui ha subito una condanna per fatti antecedenti all’introduzione della norma», dice l’uomo del Biscione: «Perciò va fatta giustizia. E mi auguro che il suo caso venga affrontato senza guardare a Dell’Utri come all’amico di Silvio Berlusconi, come al politico. Qui non c’entrano le toghe rosse, non c’entra la politica. Anzi, la polemica politica deve restare fuori da questa storia: questo è un caso di giustizia che va risolto il prima possibile».
È inutile ricordare a Confalonieri che Dell’Utri non è solo «l’amico di Silvio» o «il politico», ma anche un condannato a sette anni di reclusione, perché — secondo la sentenza definitiva della Cassazione — dal 1974 al 1992 è stato il garante «decisivo» dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra. Da cittadino rispetta la giustizia ma da «amico» continua a considerare «Marcello un innocente, vittima di molti pregiudizi: per il suo ruolo a fianco di Berlusconi, per la sua sicilianità».
Il profilo che offre di Dell’Utri è ben diverso da quello tracciato dalla Corte suprema, che lo definisce «uomo di particolare pericolosità sociale»: «È una delle persone più miti, più colte, più perbene che conosca. Ed è una persona che comunque ora è ingiustamente detenuta, perché qualsiasi cosa gli sia stata addebitata, alla luce della sentenza su Contrada non può più essergli addebitata».
Alterna accenti accorati a momenti di titubanza, «non vorrei creargli dei problemi invece di aiutarlo... Marcello ha appena compiuto 74 anni, è rinchiuso da 18 mesi, ha perso 15 chili... No, non si abbatte, si fa le sue due ore d’aria, si è occupato della biblioteca interna... Per lui i libri sono come per me il pianoforte... Si è iscritto anche all’università: il mese prossimo darà l’esame di storia medievale... Insomma, si fa forza. Ma adesso, con questa sentenza, è cambiato tutto e ho capito che ha bisogno di sostegno». Perciò Confalonieri ha voluto incontrare l’avvocato di Dell’Utri, il professor Andrea Saccucci, dal quale ha saputo come si muoverà la difesa: «Strade ce ne sono. C’è l’incidente di esecuzione, con cui si può puntare a ottenere l’inesecutività della condanna. C’è il ricorso pendente alla Corte europea, la possibile richiesta di grazia. Il problema è quello dei tempi».
Quando venerdì è andato a Parma era in compagnia della moglie di Dell’Utri, Miranda: «In un carcere di massima sicurezza le procedure per una visita sono molto severe. Ma almeno ho potuto parlare con lui, per un po’ siamo rimasti insieme. Si sente forte. Mi ripete sempre che “quando sei qui dentro ripensi alla tua vita”».
D’un tratto Confalonieri cambia il tono di voce: «Saperlo lì mi fa andar fuori di testa. E la mia paura è che vada fuori di testa anche lui. Lo so, so perfettamente che la condizione di Marcello è la situazione di tutti i reclusi. Perciò spero che si possa affrontare il caso come se si trattasse di un detenuto qualsiasi. Bisognerebbe scarnificare l’immagine di Dell’Utri, presentarlo come un cittadino comune, come un problema di giustizia. Ci sarà qualcuno che vorrà sollevare il velo. Ci saranno giuristi, uomini di legge, che riconosceranno la particolarità della situazione. Io mi auguro di sì, spero scocchi la scintilla. Non è politica, non è politica», ripete senza prender fiato. E mentre lo ripete si avverte l’ansia di Confalonieri, la sua preoccupazione: perché si rende conto che sarà complicato separare il «caso giudiziario» dal «pregiudizio» su Dell’Utri, che «vale quanto la condanna».
« Con Marcello ci scriviamo», dice il capo del Biscione, che torna a ricomporsi nel tono di voce come a voler mettere ordine ai suoi pensieri. Anche le lettere, come le visite, sono controllate: «La prima volta mi scrisse che ogni mattina avvertiva una cappa e sentiva un ronzio che lo accompagnava tutto il giorno. Alla lunga si è abituato. “Reagisco e non mi arrendo”. Ma l’estate scorsa mi descrisse una scena che non ho dimenticato: “Sono le undici, il sole non batte ancora da questa parte, ma nella mia cella ci sono già 38 gradi. Non fa caldo, è come fosse febbre”».
Negli scritti ha notato un cambiamento: «Lui ha sempre avuto uno spiccato senso dell’umorismo, che ora si è trasformato in ironia carceraria». Venerdì, all’atto di congedarsi, Confalonieri ha cercato di non mostrarsi preoccupato: «Quando lo vedo non faccio il compassionevole. Gli dico che abbiamo avuto una vita piena, che siamo avanti negli anni e che se ci lamentassimo rischieremmo magari di far arrabbiare il Padreterno. Però lui in effetti il purgatorio lo sta già scontando. Il caso giudiziario c’è e se c’è giustizia va risolto».
Marcello mi ha detto che si sente sequestrato È una situazione particolare Qui la politica non c’entra