Primo accordo nel Pd
Non più di 5 dissidenti ancora per il no. Grasso: sulla Costituzione limiti invalicabili
L’accordo sul Senato c’è e Pier Luigi Bersani si augura che il Pd la smetta con i giochini da bambino, «fare al chi vince e chi perde mi pare un po’ infantile...». Alle dieci della sera, finita la riunione cruciale a Palazzo Madama, l’ottimismo sembra spazzar via dubbi e incertezze. Escono Zanda, Finocchiaro, Pizzetti, Chiti e Migliavacca: il plenipotenziario di Bersani accredita «grandi passi avanti», sebbene il testo sia «ancora da scrivere».
La notte è lunga, ma salvo sorprese questa mattina alle 9 — alla scadenza del termine e dopo una nuova riunione tra i « dem » fissata per le 8 — l’emendamento della pacificazione verrà depositato. E per il Pd comincerà una fase nuova. La svolta prevede un’intesa a tutto campo, che va dall’elettività alle competenze dei senatori, passando per i giudici costituzionali. Resta da sciogliere il nodo della platea che elegge il presidente della Repubblica.
Pace fatta, pare. Ma i tormenti del Pd non sono finiti e non solo perché Calderoli minaccia 60 milioni di emendamenti. L’accordo è appeso ai ragionamenti di Pietro Grasso ed è questo il paradosso che rischia di agitare gli animi, appena rasserenati. Cosa accadrebbe infatti se il presidente del Senato decidesse di dare il via libera all’emendabilità dell’articolo 2? A una tale onda d’urto l’unità del Pd potrebbe non reggere, è il timore dei renziani. I quali ben sanno che, in caso di riapertura del «vaso di Pandora», la minoranza voterebbe l’emendamento di Chiti e compagni al comma 2 dell’articolo 2, che prevede l’elezione diretta senza ratifica dei consigli regionali. Il sottosegretario Luciano Pizzetti ha capito il giochetto e avverte: «Se Grasso accogliesse gli emendamenti sarebbe un guaio. L’intesa è scritta sulla base di un gentlemen agreement nel rispetto della doppia lettura conforme. Sennò tutto rischia di finire in cavalleria». Per Palazzo Chigi, dunque, il presidente del Senato può spingersi fino alla revisione del comma 5, l’unico passaggio modificato alla Camera. Se invece va oltre l’intesa salta e si riparte da capo, con la convocazione dei gruppi parlamentari del Pd. Ma forse questo scenario è solo il frutto avvelenato della tensione che ha accompagnato le trattative. Nel governo infatti c’è anche chi racconta che Grasso si sarebbe impegnato a «garantire» l’accordo tra Renzi e Bersani, seguendo le orme della Finocchiaro e quindi non accogliendo gli emendamenti della discordia.
Bersani è contento, perché la chimera del Senato elettivo non è più inafferrabile e forse perché la possibilità che Vasco Errani entri al governo è adesso più concreta. Ma i dissidenti restano cauti. Nell’ufficio di Chiti si sono visti 25 dei 28 firmatari degli emendamenti, e alcuni di loro (che si contano sulle dita di una mano) potrebbero addirittura sfilarsi. «Carta manent, verba volant», aspetta il testo Gotor: «Sono ottimista, si va nella giusta direzione». Basta che nel testo sia scritto che saranno i cittadini a eleggere i loro rappresentanti. Ma guai a parlare di listini, per la minoranza i consigli regionali devono limitarsi a ratificare la scelta. «Altrimenti non ci stiamo», avverte Fornaro.
All’indomani dello scontro con Renzi, il presidente del Senato ha richiamato tutti «a non trattare la materia costituzionale come argomento di bassa politica». Si è detto «ottimista per i positivi segnali di dialogo», però ha ricordato come, paradossalmente, una riforma della Costituzione «possa rivelarsi incostituzionale», visti i «limiti invalicabili alle revisioni » . Grasso ha ribadito che l’interesse generale viene prima degli interessi «particolari e personali» e che le regole del gioco vanno maneggiate «con cura e cautela, misurando le parole».
Moniti che nel governo faticano a interpretare. Davvero Grasso pensa di concedere i voti segreti sull’articolo 1? E perché in Aula ha fatto cadere la tagliola, dimezzando i tempi? Le opposizioni hanno gridato al « contingentamento » , insinuando che il presidente si sia piegato a Renzi. E Grasso si è visto costretto a replicare: «Una decisione frutto di prerogative presidenziali non può essere interpretata come un cedimento a eventuali pressioni». Nel pomeriggio il clima si è rasserenato, prova ne sia l’immagine di Grasso e Boschi vicini in sala Zuccari, a un convegno sulla Costituzione. Il ministro, lasciando Palazzo Giustiniani, si è detta «fiduciosa» sulla conclusione di un percorso «iniziato in seno alla Costituente».
Bersani Ora fare a chi vince e chi perde sarebbe un po’ infantile Il faccia a faccia Nella notte il confronto tra la maggioranza e la sinistra dem, nuovo summit stamattina