Corriere della Sera

Il coraggio di Megi incastra i bulli del bus «L’hanno quasi ucciso ma io volevo fermarli»

Genova, la ragazza si è chiusa in casa: ho paura

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di ognuno, ha ripercorso minuto per minuto quelle ore: «Ci siamo incontrati alle dieci di sera in via Buranello, io, Lorenzo, Federico e Beatrice. Jurgen lo abbiamo incontrato dopo, mentre giravamo per i locali nel centro storico». Una nottata che finisce alle cinque di mattina al capolinea dell’autobus numero 1. Sul bus ci sono Marzio N. e il suo amico inglese Richard Nash.

«Erano ubriachi — dice Megi — e hanno fatto un compliment­o pesante a Beatrice. Non ricordo le parole. Lorenzo si è infuriato, ha colpito uno degli uomini con una testata». Marzio N. cade a terra dove il più giovane del gruppo lo prende a cinghiate: «Ma noi ragazze non volevamo, Beatrice si è messa in mezzo, ha preso anche una cinghiata». Megi ripete e ripete che lei «non voleva», che non ha capito la gravità di quello che era accaduto fino a quando non ha visto dei servizi televisivi: «Ho anche pensato che non si riferisser­o a noi perché avevo visto che l’uomo si era rialzato in piedi». Ha cercato di ingannare se stessa ma è durata poco: «Quando hanno detto che era grave, in coma, ho parlato con Beatrice, volevamo andare dalla polizia. Ci siamo incontrati tutti e i ragazzi hanno detto di stare zitte e farci i fatti nostri, se ci fossero stati problemi ci avrebbero pensato loro. Ma non ci hanno minacciate».

Si è cullata nell’illusione di non avere grandi responsabi­lità, ha taciuto «quando ho capito che l’avevano quasi ucciso non ho più dormito per due mesi, piangevo spesso». Ma su Facebook dopo un blackout di una ventina di giorni iniziato il 14 luglio, ricompaion­o le foto di lei e di Beatrice sorridenti. Megi scrive all’amica «I love you» con cuoricini. Nessun cenno a quella notte. Tuttavia Maji si confida con la sorella maggiore Freskida che le consiglia di andare dalla polizia: «Quello che è successo è più grande di te». Freskida sta vicino alla sorella minore ma disapprova la sua reticenza, la loro è una famiglia di lavoratori, onesta come dirà al magistrato. Megi tace, finché i carabinier­i non la convocano perché il suo cellulare risulta fra quelli presenti nella cella di piazza Caricament­o nell’ora « giusta » : crolla subito. Ieri Federico Burlando, 19 anni, interrogat­o in carcere ha detto che «Megi era lì ma non ha fatto e detto niente». È una versione molto diversa da quella data da Nash ai carabinier­i e da Marzio N. alla sua compagna: «Sono state le ragazze a incitarli e una mi ha preso a calci». E l’omofobia? Scomparsa: «Non ce l’avevano con lui perché sembrava gay» ha detto Megi. Lo ripete Burlando dal carcere anche se aggiunge: «Quando lo abbiamo picchiato abbiamo urlato di tutto...». Sì, forse anche frocio «ma non è stato per quello».

Volevo andare alla polizia ma mi hanno detto di starmene zitta

Però non è vero che ce l’avevano con lui perché sembrava un gay

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