CHI DELEGITTIMA I NEMICI ASSOCIANDOLI ALLA MAFIA EVITA IL CONFRONTO E INTOSSICA LA POLITICA
Se non si presta attenzione, la parola «mafia» usata per delegittimare il proprio avversario in maniera arbitraria diventerà una metafora tossica, oltre che sciatta. Con due effetti collaterali, entrambi nocivi: il primo, immediato, è avvelenare il confronto politico, già piuttosto degenerato; il secondo, più grave e paradossale, è avvantaggiare la vera mafia, perché se tutto viene chiamato mafia, la mafia sarà meno riconoscibile. E lavorerà più serena. La tendenza degli ultimi mesi ha avuto lunedì uno dei suoi picchi con Ignazio Marino. Il sindaco di Roma crede di potersi chiamare fuori dallo scandalo di #mafiacapitale perché non direttamente legato ai protagonisti della vicenda; a causa del suo ennesimo viaggio all’estero, per incontrare il Papa negli Usa, è stato però contestato da Fratelli d’Italia, cui ha ribattuto sprezzante: «Voi rappresentate la mafia». Seguirà querela, annunciata; intanto, molto rumore di fondo tra giornali e social. Marino ha ragione? Ha torto? Non conta: se l’obiettivo era delegittimare l’interlocutore, eludendo le critiche, è stato raggiunto; con una tecnica che in filosofia si chiama reductio ad Hitlerum. Si tratta di un finto ragionamento, in cui si ammazza il dibattito demonizzando l’avversario, paragonato al male assoluto: Hitler, il nazismo; da noi, la mafia. Come? Con falsi sillogismi, come quello di Marino: io sono contro #mafiacapitale, se voi siete contro di me, siete a favore della mafia. Lo stesso sragionamento è stato fatto da chi ha voluto esasperare lo scontro politico tra Renzi e Grasso, strumentalizzando una battuta del presidente del Senato sulle minacce mafiose subite. I ventriloqui dell’anti-renzismo dicono: Grasso era minacciato dalla mafia, ora lo minaccia Renzi, quindi? Renzi è come la mafia. Un gioco da retori tristi: Grasso è stato realmente minacciato dalla mafia. Reale. Non metaforica.
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