Portici, musei e verde urbano È il crowdfunding all’italiana
Attraverso la Rete sono i piccoli finanziatori a sostenere progetti sotto casa
Non chiamatela colletta. Eppure è proprio di questo che si tratta: ognuno ci mette il suo, e insieme si costruisce il capitale. Che all’assessore alla Promozione della città di Bologna, Matteo Lepore, è ad esempio servito per rimettere in sesto le 666 arcate del portico di San Luca: 340 mila euro arrivati dai bolognesi in tagli da 50 euro alla volta. Una colletta, anzi no: crowdfunding.
Trovata d’oltreoceano, quella del micro finanziamento dal basso. E c’è chi dice l’abbia inventata, alla fine dell’Ottocento, The World, la rivista di Joseph Pulitzer, per raccogliere i 150 mila dollari mancanti al completamento del basamento della Statua della libertà. Sarà. Sta di fatto che nel 2014, secondo il report della società di ricerca Massolution, il fenomeno ha superato i 16 miliardi di dollari di giro d’affari, con tassi di crescita a tre cifre sia in Europa che negli Usa che in Asia.
Tentano la fortuna studenti, imprese, musicisti, amministratori pubblici e pure attività no profit. Poco o punto merito di credito? Rivolgersi alla sharing economy. Di casi da scuola ce ne sono. Ecco il più recente: lui si chiama Hiral Sanghavi, ha 29 anni, vive a Chicago e ha ideato una felpa super accessoriata pensata per chi viaggia (ha un cappuccio che si trasforma in cuscino e una serie di tasche porta tutto). Sanghavi ha postato il suo progetto su Kickstarter, una delle piattaforme più utilizzate, chiedendo 20 mila euro per iniziare a produrla. Solo che in sette ore ha raccolto oltre 9 milioni di dollari. La felpa, semplicemente, è piaciuta. E i suoi 45 mila backer (sostenitori) ne hanno acquistata una in prevendita.
«La chiave del successo del crowdfunding — ragiona Emanuela Prandelli, docente di management in Bocconi — è che abbatte i costi fissi d’avviamento d’una impresa, perché pubblicare la propria idea è in sé un’indagine di mercato. E se la proposta piace lo capisci già nei primissimi giorni di campagna. Un’informazione preziosissima per chi deve redigere un business plan».
La campagna più fortunata del mondo data dicembre 2014. Star citizen, un videogioco ambientato nello spazio: i suoi sviluppatori chiedevano 500 mila dollari e hanno raccolto 88,4 milioni. Il record europeo spetta invece al real estate: 7,5 milioni per realizzare un resort sul mar Baltico. E l’Italia? «Le piattaforme anche qui nascono come funghi. Purtroppo non crescono con gli stessi ritmi. Ed è quasi tutto legato al terzo settore e al no profit» dice Walter Vassallo, autore per Franco Angeli di Crowdfunding nell’era della conoscenza. Tema caldo: i progetti di qualità, nel nostro Paese, ci sono, è la cultura del rischio che manca. «I finanziatori — prosegue Vassallo — non sanno dove investire i loro soldi. Le piattaforme made in Italy spesso sono solo dei contenitori. Altro, invece, è fornire un supporto agli investitori verificando validità e competitività delle idee che postano». Posizione simile a quella di Ivana Pais, che insegna Sociologia economica alla Cattolica di Milano: «Se vogliamo copiare Kickstarter proprio non ci siamo. Anzi, dovremmo fare l’opposto, abbracciando modelli verticali come Musicraiser, che si occupa di sostenere musicisti emergenti, oppure iper locali, in grado di intercettare anche chi non è online». È il caso di DeRev, che ha raccolto 1,5 milioni per la ricostruzione della Città della scienza di Napoli dopo l’incendio del marzo 2013. E anche di Ginger, che ha convinto oltre seimila bolognesi a fare colletta per i portici di San Luca.