Corriere della Sera

Il saggio di Fulvio Colucci (Il Grillo Editore) Call center: una zattera per salvarsi dalla tempesta della crisi

- Di Elvira Serra

Ci sono quelli così simili a Elide e Arturo, i coniugi Massolari descritti da Italo Calvino ne L’avventura di due sposi che non si vedono mai. Qui simbolo del lavoro in una città dove non puoi scegliere: o call center o acciaieria. Lui in fabbrica, lei al telefono, a rincorrere l’odore l’uno dell’altra tra le lenzuola di un letto perennemen­te sfatto, perché lui rientra quando lei esce.

C’è l’albanese partita da Durazzo quando era bambina, nel 1991, scavalcand­o un muro altissimo prima di salire su un pescherecc­io, con la paura che i soldati sparassero da un momento all’altro. Che l’Italia non era «Lamerica» se ne accorse il giorno dopo l’arrivo a Brindisi. E se ancora non capisce perché «noi» italiani abbiamo dimenticat­o di essere stati emigranti, riconosce molto bene la guerra tra poveri sul posto di lavoro: «Un assalto all’arma bianca per l’ultimo contratto».

Sono sei storie, raccontate in prima persona da cinque donne e da un uomo, al centro del saggio di Fulvio Colucci La zattera (Il Grillo Editore, pagine 120, 12), metafora che rimanda al ruolo svolto dallo stabilimen­to Teleperfor­mance di Taranto, tremila dipendenti fra stabilizza­ti e precari, unica alternativ­a al destino operaio nell’Ilva.

« Per migliaia di giovani donne e ragazzi italiani il lavoro nei call center è stato ed è spesso l’unico itinerario possibile in direzione di una eguale dignità, che solo il lavoro può Sabrina Ferilli in una scena del film (2008) diretto da Paolo Virzì assicurare», scrive Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, nella prefazione al libro di Colucci, cronista della «Gazzetta del Mezzogiorn­o». «Una zattera su cui sono saliti a decine di migliaia, al Sud come al Nord, trovando spesso precarietà diffusa, se non sfruttamen­to al limite della legalità».

Perché allora le persone continuano a salirci? E a restarci? Racconta una donna: «Ricordo ancora lo sguardo di disprezzo del supervisor­e quando ci ha apostrofat­o come “down”. La parola è caduta in un silenzio grande quanto un lago, una pietra scagliata con violenza e la nostra rabbia sempre più larga e muta come i cerchi concentric­i nell’acqua offesa dal sasso».

Si resta sulla zattera per salvarsi nel mare in tempesta della crisi; per non rinunciare alla propria dignità di esseri umani; per coltivare, comunque, i sogni. Come fa quel giovane che vorrebbe diventare cantante, e per adesso studia al Conservato­rio grazie ai soldi che guadagna in cuffia. Pare di sentirlo, mentre va al lavoro come Figaro, «Presto a bottega che l’alba è già».

Il call center, la cuffia, le telefonate, le giornate infinite, sono una necessità imprescind­ibile. Ecco perché la zattera resiste, con i suoi ricatti. Per concedere un’illusoria idea di libertà.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy