Molature, fresature, tagli I funamboli dell’estetica
Aqualche visitatore colto della mostra «Digital Lithic Design » (ospitata al pad. 1 di Marmomacc, nell’ambito del progetto The Italian Stone Theatre) sovverrà l’affermazione di Michelangelo che sosteneva di vedere in un blocco di marmo già la futura opera d’arte, intesa come risultato di sottrazione della materia. Perché le 11 imponenti sculture (molte superano i 3 metri), che compongono il percorso dell’esposizione, incarnano perfettamente questo concetto: il marmo, duro e pesante per antonomasia, perde parte della sua fisicità grazie a giochi di pieni e vuoti, curve, trasparenze, ondulazioni della superficie. Molature, fresature, scavature, tagli al limite dell’impossibile al servizio di un’estetica nuova, mai vista prima.
Dietro tutto questo c’è un lavoro che, partendo dal materiale (e da chi lo produce) passa attraverso macchinari, progettati dall’uomo per realizzare oggetti risultato di una creatività. Come racconta il curatore e designer Raffaello Galiotto: «Tradizionalmente la filiera dei materiali lapidei è sempre stata divisa tra chi opera nel settore delle lastre e della loro trasformazione, e gli artisti e artigiani che danno una forma espressiva ai pezzi unici. Oggi il design vuole inserirsi tra questi due mondi, applicando invenzioni “artistiche” a oggetti riproducibili serialmente». Il fulcro di questo processo, afferma Galiotto, sta nelle tecnologie e nell’esplorazione delle loro possibilità e il progetto «Digital Lithic Design» è stata occasione per applicarle: «L’idea era trasformare un blocco di marmo in qualcosa di inaspettato: il processo è partito dall’individuare un macchinario dedicato a una precisa lavorazione e studiare come portarla oltre i limiti, realizzando un oggetto rappresentativo di ciascuna». Produttori di macchinari e utensili, case di software, marmisti e cavatori — assieme allo stesso Raffaello Galiotto, ideatore delle 11 opere — diventati una «squadra»: «Il valore non è solo l’oggetto come manifestazione di bravura ma, in quanto opera collettiva, catalizzatrice di momenti di confronto e condivisione».
Le macchine e il loro valore, un umanesimo 2.0 che non rinnega l’apporto delle persone, anzi lo valorizza. Lo testimonia Odone Angelo, realtà imprenditoriale del Vercellese che per «Digital Lithic Design» ha realizzato, con il gruppo Tosco Marmi, la scultura Leucon, un gioco di crateri «morbidi» e ondulati: «Siamo abituati a usare processi automatizzati ma mai così estremizzati — racconta il titolare Stefano Odone —. Qui abbiamo lavorato su due livelli: la superficie, resa bifacciale, è stata scavata attraverso un utensile speciale, in grado di ruotare in diagonale per raggiungere gli interstizi più inaccessibili. Progettato e messo a punto appositamente». Una sfida vinta, dice. Stessa convinzione per Pellegrini, ditta produttrice del macchinario installato presso Margraf Industria Marmi Vicentini, con il quale è stata scolpita l’opera Corteccia, dalla superficie effetto tronco stilizzato: «Il taglio a filo diamantato ha agito su ben 10 assi: risultato, un oggetto tridimensionale che sembra fatto a mano. Invece nasce da un software dedicato», spiega la presidente Elena Pellegrini.
Esercizi di bravura che non andranno perduti: Silvio Xompero, presidente di Margraf, ne è convinto. «La sperimentazione è il motore di tutto il nostro lavoro — dice —. Basta guardare l’esterno con terrazzi a sbalzo in travertino che abbiamo realizzato per il condominio Le Petit Afrique a Montecarlo, oppure le scalinate del World Financial Center di New York, intarsiate in marmo botticino e fior di pesco carnico: come queste sculture, sposano leggerezza, tecnologia e un pizzico di arte. Anche se, indispensabile, rimarrà sempre la creatività dell’uomo».
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