Il mistero Peter Pan
Le sofferenze in un orfanotrofio e l’odio del pirata Barbanera: Hollywood inventa un prequel
È il bambino che non cresce mai, la fantasia dell’infanzia verso la concretezza del mondo adulto, la ricerca dell’avventura al posto della routine. «Per capire veramente come finiscono le cose a volte bisogna sapere come iniziano», si legge sul grande schermo prima ancora che cominci il film. Perché sa volare Peter Pan? Come è arrivato sull’isola che con c’è? Perché lo odia Barbanera? E chi è Capitan Uncino?
Dopo Orgoglio e Pregiudizio, Anna Karenina, Espiazione, il regista Joe Wright si immerge nel mondo di una leggenda ( Pan - Viaggio sull’isola che non c’è, nelle sale dal 12 novembre). Attraverso la sua telecamera la storia di J. M. Barrie trova un passato. Per il pubblico inglese è come toccare un mostro sacro. Peter Pan non è solo amato. È l’eroe che ogni giorno salva centinaia di bambini: i proventi dei diritti dell’originale, infatti, contribuiscono tuttora a finanziare l’ospedale pediatrico di Londra Great Ormond Street. A giudicare dalla reazione alla prima londinese, per la quale Leicester Square è stata trasformata in un rigoglioso giardino tropicale, Wright ha trovato la formula giusta.
«È già tutto nel libro», precisa. Lo ha letto e amato da bambino. Da adulto ne è rimasto stupito. «È un romanzo ricco e complicato, psicologicamente molto valido. Barrie era un contemporaneo di Freud e si vede » . Il tema principale è «l’importanza di mantenere vivo l’entusiasmo dell’infanzia, senza farsi sopraffare dal cinismo». Il film si apre nel grigio disperato di un orfanatrofio. Tra file di materassi sporchi e suore terrificanti spicca un bambino che non vuole arrendersi alla bruttezza del mondo: nonostante tutto continua a credere che la madre che lo ha abbandonato un giorno tornerà a prenderlo. L’universo nel quale approda, una sera come tante altre, è «un’esplosione di colori. I cattivi a differenza delle suore appartengono alla fantasia, le avventure sono quelle che può sognare un ragazzino di 11 o 12 anni». «I miei figli — spiega Wright — sono piccoli e spesso hanno gli incubi. Mi raccontano a loro modo cosa vedono nei sogni. Volevo ricreare quell’atmosfera. Il bello è magnifico, il brutto è terrificante e un pò ridicolo, come sono gli adulti per i bambini».
Nella parte dello spietato Barbanera, Wright ha voluto quello che viene spesso definito «l’uomo più carino di Hollywood», Hugh Jackman. «Carino di modi — precisa l’attore — per mia madre vuol dire semplicemente buone maniere». Una volta, aggiunge, «venivamo tirati su così». Ha detto sì immediatamente. «Da quando studio recitazione aspiro alla parte del pirata». Vestire i panni del cattivo è stato «liberatorio: non hai bisogno di trascinare il pubblico dalla tua parte, puoi dare sfogo all’immaginazione». Per sua moglie quello di Barbanera è il «ruolo più sexy che abbia mai interpretato», mentre i figli lo hanno preso in giro sull’età: «Barba nera e bianca, mi sbeffeggiavano».
Un grazie sentito, da parte di tutto il cast, va al collega più giovane, Levi Miller, il ragazzino australiano che interpreta Peter. «Ogni giorno arrivava sul set pieno di entusiasmo, curiosità, voglia di imparare», ricorda Rooney Mara, in scena la principessa Tiger Lily. «È stata un’esperienza fantastica» racconta. Non è per niente entusiasta di tornare a scuola dopo i mesi trascorsi sul set.
Wright non esclude un altro prequel. Al termine di Pan, infatti, Peter e Capitan Uncino sono ancora amici. La storia da raccontare c’è. «Nella mente dello sceneggiatore Jason Fuchs la trama esiste — precisa —. Non sono contrario all’idea, nient’affatto. Dipenderà esclusivamente dall’entusiasmo del pubblico».
La madre Il protagonista è stato abbandonato dalla madre, tuttavia spera sempre nel suo ritorno