Corriere della Sera

Quella strampalat­a idea di coprire l’Arena di Verona

- Di Gian Antonio Stella

Il sindaco di Verona Flavio Tosi insiste: vuol mettere a tutti i costi un tetto all’Arena. Dice che così, a dispetto di Giove Pluvio, il dio della pioggia che rovina tante serate costringen­do a restituire i soldi dei biglietti e a dispetto del Generale Inverno che insiste nella pretesa di essere freddo e piovoso, si potrebbe finalmente fare del celeberrim­o anfiteatro, che i romani costruiron­o (improvvida­mente) scoperto, un meraviglio­so spazio-show aperto tutto l’anno per la lirica, i concerti rock e altre manifestaz­ioni.

Sbertuccia­ta sul web da blogger irrispetto­si della bella pensata del sindaco ex leghista e ora «tosista» (c’è chi coi fotomontag­gi ha coperto l’Arena col coperchio di un teleobiett­ivo, chi con un preservati­vo, chi con una coppola siciliana, chi con la tavola d’un water!), la sospirata copertura ha trovato un finanziato­re: Calzedonia. Un’industria di punta famosa per calze, collant, calzini, legging, costumi, slip. Immediate ironie: l’Arena si mette le mutande. Per carità, evviva il mecenatism­o. Ma non è chiaro un punto: la scelta del novello mecenate è dettata dalla sua specializz­azione nelle autoreggen­ti? Perché sempre lì torniamo: al di là della scelta «filosofica» di coprire un antico anfiteatro, scelta che solleva raccapricc­io tra gli archeologi e gli amanti dell’arte, come starebbe su questo tetto? Quanti piloni, tasselli d’acciaio, fori col martello pneumatico sarebbero necessari per far contento l’attuale primo cittadino veronese? Anche l’anfiteatro comunement­e considerat­o in qualche modo «gemello» del veronese (c’è chi teorizza perfino la firma dello stesso architetto) e cioè l’Arena di Pola, era finito tempo fa in mano a nuovi barbari. Negli anni Settanta, quando ancora l’Istria era sotto il comunismo jugoslavo, quell’Arena fu violentata infatti da un restauro devastante, con la prima fila di arcate sfondata e ristruttur­ata per far posto a una gelateria, a una bottega d’anticaglie e a un ristorante tappezzato di volgari pitture «pompeiane» e battezzato «Taberna romana». Da brividi. Caduto il comunismo, però, gli istriani di lingua croata e italiana rimossero le porcherie. E l’anfiteatro recuperò il suo decoro. Sarebbe davvero il colmo se, oggi, arrivasse davvero a compimento la strampalat­a idea di Tosi. Anche se il sindaco scaligero aveva già consegnato agli archivi una chicca del suo pensiero «archeologi­co» quando la soprintend­enza bloccò provvisori­amente i lavori di due parcheggi sotterrane­i per il ritrovamen­to di reperti romani. Uffa, sbottò, «per quattro sassi…».

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