Quella strampalata idea di coprire l’Arena di Verona
Il sindaco di Verona Flavio Tosi insiste: vuol mettere a tutti i costi un tetto all’Arena. Dice che così, a dispetto di Giove Pluvio, il dio della pioggia che rovina tante serate costringendo a restituire i soldi dei biglietti e a dispetto del Generale Inverno che insiste nella pretesa di essere freddo e piovoso, si potrebbe finalmente fare del celeberrimo anfiteatro, che i romani costruirono (improvvidamente) scoperto, un meraviglioso spazio-show aperto tutto l’anno per la lirica, i concerti rock e altre manifestazioni.
Sbertucciata sul web da blogger irrispettosi della bella pensata del sindaco ex leghista e ora «tosista» (c’è chi coi fotomontaggi ha coperto l’Arena col coperchio di un teleobiettivo, chi con un preservativo, chi con una coppola siciliana, chi con la tavola d’un water!), la sospirata copertura ha trovato un finanziatore: Calzedonia. Un’industria di punta famosa per calze, collant, calzini, legging, costumi, slip. Immediate ironie: l’Arena si mette le mutande. Per carità, evviva il mecenatismo. Ma non è chiaro un punto: la scelta del novello mecenate è dettata dalla sua specializzazione nelle autoreggenti? Perché sempre lì torniamo: al di là della scelta «filosofica» di coprire un antico anfiteatro, scelta che solleva raccapriccio tra gli archeologi e gli amanti dell’arte, come starebbe su questo tetto? Quanti piloni, tasselli d’acciaio, fori col martello pneumatico sarebbero necessari per far contento l’attuale primo cittadino veronese? Anche l’anfiteatro comunemente considerato in qualche modo «gemello» del veronese (c’è chi teorizza perfino la firma dello stesso architetto) e cioè l’Arena di Pola, era finito tempo fa in mano a nuovi barbari. Negli anni Settanta, quando ancora l’Istria era sotto il comunismo jugoslavo, quell’Arena fu violentata infatti da un restauro devastante, con la prima fila di arcate sfondata e ristrutturata per far posto a una gelateria, a una bottega d’anticaglie e a un ristorante tappezzato di volgari pitture «pompeiane» e battezzato «Taberna romana». Da brividi. Caduto il comunismo, però, gli istriani di lingua croata e italiana rimossero le porcherie. E l’anfiteatro recuperò il suo decoro. Sarebbe davvero il colmo se, oggi, arrivasse davvero a compimento la strampalata idea di Tosi. Anche se il sindaco scaligero aveva già consegnato agli archivi una chicca del suo pensiero «archeologico» quando la soprintendenza bloccò provvisoriamente i lavori di due parcheggi sotterranei per il ritrovamento di reperti romani. Uffa, sbottò, «per quattro sassi…».