I 100 giorni sugli scogli Sgomberati i migranti
Blitz delle forze dell’ordine, il vescovo media. Si chiude il caso esploso a giugno
Alla fine è arrivata la ruspa. Lo sapevano tutti che sarebbe successo. L’evento era così annunciato che dopo l’ultimo tornante di Ponte San Ludovico, ore 6.40 del mattino, i duecento agenti e i dodici blindati della Polizia seguiti da due camion della nettezza urbana e dalla macchina divenuta feticcio della linea dura sull’immigrazione per via di Matteo Salvini, hanno trovato ad attenderli una quarantina di militanti «No borders» e altrettanti migranti già in ritirata sugli scogli, circondati da fotografi e giornalisti.
Lo sgombero dell’accampamento accanto alla spiaggia dei Balzi rossi, dove da 100 giorni vivevano alcuni dei profughi che a giugno erano stati per breve tempo simbolo dell’impotenza europea di fronte alla tragedia dell’immigrazione avviene in un silenzio rotto solo dai flash e dal coro «Siamo tutti clandestini» cantato dagli abitanti del presidio, più italiani che stranieri. La ruspa spiana le cucine da campo, gli addetti gettano nei cassonetti viveri, lenzuola, striscioni, e il cartello segnaletico che indica città di tutto il mondo, comprese Karthoum e Asmara, le capitali di Sudan ed Eritrea da dove provengono le persone rimaste qui prima per protesta contro la chiusura francese della frontiera e dopo perché non avevano altro posto dove andare.
La loro permanenza era stata ben presto declassata da emergenza nazionale a faccenda locale, un impiccio. Il presidio organizzato dai centri sociali liguri e non solo, nato come «tentativo di aggregazione senza confini» così si legge sui resti di un tazebao ormai accartocciato, aveva assunto un significato sempre più radicale. Le manifestazioni improvvise che bloccavano il valico che collega Italia e Francia avevano frequenza quasi quotidiana. Le lamentele dei frontalieri e dei commercianti locali avevano messo sulla graticola il giovane sindaco del Pd. Enrico Ioculano, che nel giugno del 2014 aveva vinto le amministrative di un Comune sciolto per mafia puntando sulla legalità, si è trovato stretto nelle contraddizioni di questa storia abbandonata a se stessa come i suoi protagonisti. «Non ci sto a fare la parte del cattivo» dice. «Noi abbiamo accolto questa gente con solidarietà. La risposta è stata la continua creazione di disagi, con i migranti usati come strumento di propaganda. Siamo rimasti soli troppo a lungo, noi e loro. Non c’era altra soluzione».
Nei giorni scorsi il Pd aveva votato compatto una mozione della maggioranza di centrodestra in Regione che chiedeva lo sgombero della struttura, cresciuta su un terreno pubblico. Alle prese con l’ebollizione dei suoi concittadini dopo alcuni fatti di cronaca tra i quali la denuncia di un tentativo di stupro avvenuto nelle docce dell’accampamento, finora senza riscontri, il sindaco ha chiesto più volte al Viminale un «intervento sollecito». Il provvedimento di sequestro dell’area ipotizza i reati di occupazione abusiva, furto d’acqua e di elettricità, dati di fatto che neppure i diretti interessati negano. «Non c’erano alternative» dicono i capi del presidio che ormai sembrava un fortino, con guardie notturne, vedette, divieto di accesso agli estranei. L’unico arresto riguarda un presunto «No border» serbo, che si è scoperto essere ricercato dall’Interpol per rapina.
« Chiamate don Antonio, chiamate il prete». Il cortocircuito si compie quando viene invocato a gran voce il vescovo Antonio Suetta. I rifugiati sugli scogli lo applaudono mentre passa attraverso il cordone di agenti in tenuta anti-sommossa. La sua recente donazione di 2.000 euro per garantire cibo ai migranti era sembrata una chiara risposta all’imminente sgombero. La trattativa per far cessare uno stallo sugli scogli che riporta tutto alla casella di partenza del giugno scorso viene affidata a lui. «So bene che questi ragazzi agiscono in maniera formalmente illegale, ma stanno anche facendo del bene, considerando lo straniero non solo come persona da assistere ma uomo a tutti gli effetti. Papa Francesco ci insegna che questa attitudine va coltivata». Una trentina di «No borders» suonano e cantano con 8 migranti rimasti, da 35-40 che erano all’alba. «Da qui non ci muoviamo». Per due volte gli agenti indossano scudi e manganelli pronti all’azione di forza. Alle 17 il buonsenso di monsignor Suetta e i vestiti zuppi fanno risalire migranti e militanti sulla strada. I primi vanno al centro di accoglienza accanto alla stazione, finora vuoto. «A riprova dell’evidente manipolazione» dicono in Comune. Gli altri, in questura per l’identificazione. E poi alla chiesa di San Nicola per il convegno Caritas sull’accoglienza ai profughi, invitati dal vescovo.
«La legalità vale per tutti» dice Ioculano. Al corrucciato gestore del bar di fronte ai Balzi rossi che gli chiede lumi sulla
Il camping Le ruspe in azione nel camping dove gli attivisti ospitavano gli ultimi profughi rimasti
sua posizione, monsignor Suetta risponde che non si può essere umani a giorni alterni. Un ragazzo eritreo chiede invece informazioni sul primo treno per Milano. Finirà così, con un silenzioso stillicidio di partenze. Intanto la ruspa e i camion della nettezza urbana tornano per finire il lavoro. Il campo è sgomberato, gli scogli diventati celebri in tutta Europa per le ragioni sbagliate sono vuoti. Nessuno si è fatto male. Ma non è stato un bel vedere, e neppure una bella giornata.