Corriere della Sera

Alice e le regole per cuochi felici

Rendere meno dura la vita di chi lavora nei ristoranti: è l’ultima crociata di Alice Waters, la chef-guru del cibo sostenibil­e partita da un locale «hippie». E arrivata nell’orto di Michelle Obama

- Alessandra Dal Monte © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La domanda che Alice Waters trova più difficile di per sé è quasi banale. «Che cos’è, per lei, l’amore?». Dall’altro capo del telefono arriva una lunga pausa. E poi un sospiro: «Hard question». Perché quell’argomento ne nasconde tanti altri. Perché parlare d’amore, alla fine, significa fare un bilancio. E il suo, da questo punto di vista, non è positivo: «I momenti più difficili della mia vita sono legati all’amore. Ho un divorzio alle spalle, è stata la fase peggiore che abbia mai attraversa­to». Il matrimonio con Stephen Singer è naufragato dopo 16 anni. «È finita perché lavoravo troppo. All’epoca cucinavo tutto il tempo. È per questo che oggi mi batto affinché la vita dei cuochi sia più civile». In effetti al Chez Panisse, il ristorante da lei fondato a Berkeley 44 anni fa, vigono regole precise: «Lo chef principale lavora tre giorni a settimana, anche se è pagato per cinque. Chi sta ai fornelli a pranzo riposa la sera. Voglio che le persone riescano a conciliare lavoro e famiglia. Quello che non ho potuto fare io».

Insomma, l’attivista del cibo più famosa d’America a 71 anni sta combattend­o una nuova battaglia. Dopo aver creato un laboratori­o di educazione alimentare — l’Edible Schoolyard project — che da una singola scuola media di Berkeley si è diffuso in oltre cinquemila istituti nel mondo, dopo aver convinto Michelle Obama ad aprire un orto alla Casa Bianca, dopo aver aderito a Slow Food 25 anni fa portando anche negli Stati Uniti il culto del cibo sostenibil­e e della filiera contadina, ora si vuole occupare di chi il cibo lo prepara. «Penso tutti i giorni a come organizzar­e i turni di lavoro, è il mio chiodo fisso. Fare lo chef non deve più essere un mestiere così duro». La Waters adesso parla a ruota libera. E dall’amore passa al rimpianto: «Mi reputo una persona fortunata e felice, mi dispiace solo aver passato poco tempo con mia figlia. E non essere diventata mamma una seconda volta. Se tornassi indietro, vorrei un’altra chance». La sua speranza, ora che il ristorante lo gestisce da lontano, è recuperare. «Mi piacerebbe diventare nonna. Fanny è sposata, magari succederà». Nel frattempo si dedica alle cose che prima ha fatto solo di fretta: «Ho delle abitudini precise, puntuali, quasi religiose. Mi preparo sempre la colazione, vado ogni giorno al mercato agricolo, raccolgo quello che cresce nel mio orto e invito spesso i miei amici a cena. Infine, faccio lunghe passeggiat­e. È così che ho superato il dolore per la fine del rapporto con Stephen: il contatto con la natura mi ha salvato».

Parola di guru. La Waters è una pioniera della cucina locale. Ha cominciato nel 1971, cucinando per i suoi amici hippie i prodotti delle aziende

Il grande sogno Vedere il Papa che segue l’esempio della first lady americana e coltiva verdure in Vaticano

agricole california­ne: «Il gusto per il cibo fresco l’ho sviluppato a 19 anni, dopo un viaggio in Francia. A 27 ho aperto Chez Panisse». Da allora l’alimentazi­one corretta è la sua crociata, il resto le interessa poco. Non crede nella svolta salutista che sta contagiand­o molti Paesi: «La verità è che non sappiamo se i cibi definiti sani lo sono davvero. Sappiamo solo che la nostra salute sta peggiorand­o. Dietro al wellness ci sono tanti interessi, meglio andare di persona dai contadini». Non crede nemmeno nel sistema di valutazion­e dei ristoranti, anche se nel 2003 era dodicesima nel ranking del «50 Best»: «Queste classifich­e sono utili solo quando mettono in luce cuochi come René Redzepi o Massimo Bottura, veramente interessat­i agli ingredient­i e al territorio. Io comunque non le ritengo affidabili, non sono imparziali. Vorrei piuttosto che i ristoranti venissero classifica­ti per la loro purezza e la loro ospitalità». È una fan del modello italiano delle osterie e di Slow Food, di cui è vicepresid­ente internazio­nale: «Venticinqu­e anni fa ho ascoltato Carlo Petrini parlare a un convegno e mi sono resa conto che diceva esattament­e quello che pensavo io». L’avviciname­nto è stato naturale. Ora con lui coltiva un progetto ambizioso: piantare un orto in Vaticano. «Magari il Papa fosse così illuminato, sarebbe un messaggio potentissi­mo, come le verdure di Michelle».

Ancora più ambiziosa, forse, è l’idea che le frulla in testa da un po’: «Prima delle elezioni vorrei tappezzare il National Mall di Washington, quell’enorme spazio in cui da ragazzina andavo a manifestar­e, di piante verdi e contadini. Il messaggio sarebbe: abbiate a cuore la Terra». Vorrebbe Hillary Clinton presidente: «Siamo amiche — racconta —. Se dovesse vincere le chiederò la cosa che più mi sta a cuore. Inserire in tutte le scuole americane educazione alimentare e mense gratis con cibo biologico». Glielo ha promesso? «No, ma quando era first lady ha piantato dei pomodori sul tetto della Casa Bianca. È un inizio».

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