Corriere della Sera

Passa l’articolo chiave sul nuovo Senato Tiene l’accordo nel Pd

Via libera con 160 voti al cuore della riforma che prevede una Camera delle autonomie. Assenti 7 ncd Tiene l’accordo nel Pd sulla «scelta» dei nuovi senatori, ma si apre il fronte della legge sui consigli regionali

- Cavalli, Guerzoni, Martirano

Passa l’articolo chiave della riforma e tiene l’accordo nel Pd: arriva il via libera all’articolo 2, che porta con sé il Senato dei 100, eletti a partire dal 2018 «quasi direttamen­te» dai cittadini ma prima di quella data designati dai Consigli regionali. La maggioranz­a al traguardo con 160 voti. Uno in meno dell’autosuffic­ienza, fissata a quota 161. I 177 voti toccati appena due giorni fa dalla maggioranz­a al Senato si sono ridotti a 16o. Domani il verdetto sul gesto sessista.

Il rischio nominati

Al «giro di boa» della riforma costituzio­nale — il cui articolo 2 disegna il Senato dei 100, eletti a partire dal 2018 «quasi direttamen­te» dai cittadini ma prima di quella data designati dai consigli regionali — la maggioranz­a arriva con 160 voti. Uno in meno dell’autosuffic­ienza, fissata a quota 161.

E così dalle votazioni sull’articolo 2, appena approvato, emergono dati non trascurabi­li. Il Pd registra 4 assenti giustifica­ti e tre dissidenti dichiarati (Casson, Mineo, Tocci) , il Nuovo centrodest­ra di Alfano ha smarrito per strada 7 senatori (Azzollini, Colucci, Compagna, Di Giacomo, Esposito, Giovanardi, Mancuso) che il capogruppo Schifani ritiene «assenti giustifica­ti e annunciati». I verdiniani dell’Ala hanno detto sì in 10 su 12 (Barani e Amoruso assenti) e lo stesso Denis Verdini non ha partecipat­o allo scrutinio sul V comma dell’articolo 2. Dunque, i 177 voti toccati appena due giorni fa dalla maggioranz­a al Senato si sono ridotti a 16o.

Un numero, 160, che piace al capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, perché gli permette di dire che «senza il contributo determinat­e dei 10 verdiniani (suoi ex compagni di partito, ndr) il governo non ha la maggioranz­a » . E quota 160 consente a Miguel Gotor di rivendicar­e la lealtà della minoranza dem, per il momento in regime di tregua con Renzi, che ha votato compatta con tutto il gruppo: «Pensare di sostituire noi con Verdini e gli amici di Cosentino è velleitari­o», insiste Gotor. Perfida Loredana De Petris (Sel) che non perdona alla minoranza dem di aver ceduto: «È vero, il gruppo del Pd si è ricompatta­to e, nel solco della migliore tradizione stalinista, ha fatto parlare per le dichiarazi­oni di voto gli stessi colleghi che inviavano sms a tutti noi per organizzar­e le strategie in commission­e». Aggiunge Cinzia Bonfrisco (Conservato­ri e riformisti): «Con l’articolo 2 si è chiuso il congresso del Pd». Quello dell’articolo 2 — 100 senatori che saranno così assortiti: 74 consiglier­i regionali, 21 sindaci, 5 a vita nominati dal capo dello Stato — è ormai un capitolo chiuso. Ma tra lunedì e il 13 ottobre (giorno in cui è prevista la votazione sull’intero testo) se ne apriranno altri.

Il primo scoglio è l’articolo 6 (regolament­i delle Camere) sul quale le opposizion­i chiederann­o altri voti segreti; poi arriva l’articolo 10 (procedimen­to legislativ­o) sul quale insistono i 370 mila emendament­i di Roberto Calderoli (Lega). Si passerà oltre all’articolo 21 (quorum per l’elezione del presidente della Repubblica) e al 36 (elezione dei giudici costituzio­nali).

Infine c’è il macigno della norma transitori­a (articolo 39). Che fa la differenza dopo l’introduzio­ne dell’elezione «quasi diretta» dei senatori cristalliz­zata nel lodo Finocchiar­o. Nel testo, al VI comma dell’articolo 39 c’è scritto che la legge applicativ­a capace di far funzionare l’elezione quasi diretta dei senatori «è approvata entro sei mesi dalla data di svolgiment­o delle elezioni della Camera dei deputati». Cioè, a scadenza, a novembre del 2018.

E questo vuol dire (comma 1 dell’articolo 39) che in «sede di prima applicazio­ne» saranno i consigli regionali in carica (a maggioranz­a di centrosini­stra tranne in Liguria, Lombardia e Veneto) ad eleggere al loro interno i nuovi senatori. Così, almeno fino a all’autunno 2018, con la riforma Renzi-Boschi non ci sarà l’elezione dei senatori fatta «in conformità alle scelte espresse dagli elettori».

Sull’articolo 39, allora, si potrebbe ricostitui­re un fronte comune tra le opposizion­i e la minoranza Pd: per far scrivere nella riforma che la legge attuativa per eleggere il nuovo Senato venga approvata ben prima del 2018. Magari «entro sei mesi» dall’approvazio­ne dell stessa riforma costituzio­nale. Anche perché a ottobre del 2017 scade l’assemblea siciliana, a febbraio del 2018 quelle del Lazio, della Lombardia e del Molise. E sempre nel 2018, ad aprile va a casa il consiglio in Friuli Venezia Giulia, a maggio in Val d’Aosta, a ottobre in Trentino Alto Adige, a novembre in Basilicata. E se la leggina non è pronta addio alle «scelte espresse dagli elettori».

Se non si fa subito la norma, la prima volta i nuovi membri saranno nominati dalle Regioni

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