Corriere della Sera

«Andrò in Spagna Ho solo due valigie Il Sant’Uffizio cuore d’omofobia»

- Elena Tebano

Nel mondo La notizia sui siti di

e la polacca

Monsignor Krzysztof Charamsa è in piedi di fronte a un gruppetto di fotografi e giornalist­i in un ristorante romano a due passi da Piazza del Popolo. Parla insistendo sulle parole e muovendo le braccia come chi è abituato a predicare da un pulpito.

Dice parole inimmagina­bili nella vicinanza di qualsiasi pulpito. «Io devo chiedere perdono ai fratelli e sorelle omosessual­i, lesbiche, bisessuali, transessua­li e intersessu­ali — afferma —: lo faccio per quanto posso come povero membro della Chiesa cattolica a nome di questa comunità di fede. Vi chiedo perdono per i ritardi epocali, per le vostre sofferenze, per la vostra esclusione. Vi chiedo perdono che vi abbiamo reso lebbrosi del nostro tempo, che chiedono misericord­ia per essere toccati da Gesù, da Dio. Chiedo perdono anche a nome mio, per ogni momento del mio sofferto silenzio tra le mura della congregazi­one per la Dottrina della fede, quando ero testimone di una esasperata paranoica omofobia», dichiara nel silenzio interrotto solo dai clic ripetuti delle macchine fotografic­he.

I n s i s te sulla « esasperazi­one » che lo ha convinto « a parlare di ciò che ho vissuto tra le mura del Santo Uffizio, cuore di omofobia irrazional­e», e a «uscire dall’armadio», come ripete più volte in una letterale e buffa traduzione dell’espression­e inglese « coming out of the closet», «dichiarars­i gay». Infine il suo coming out lo dedica «alla persona che amo, al mio Eduard». Lo chiama («vieni qui») e aggiunge: «Senza di lui non avrei saputo come trasformar­e la mia paura nella forza dell’amore. E lo dico come sacerdote cattolico innamorato di un uomo».

Eduard Planas, un bell’uomo di 44 anni, catalano, atterrato a Roma soltanto il giorno prima da Barcellona, fa un passo avanti e gli posa una mano sulla spalla.

Per altri dieci minuti il Monsignore ufficiale della Congregazi­one della Dottrina della Fede, segretario ufficiale della Commission­e teologica internazio­nale vaticana continua a scandire il suo «manifesto di liberazion­e» per i gay cattolici con un altro uomo stretto al suo fianco. Non c’è più spazio per le argomentaz­ioni lucide e razionali con cui il giorno prima ha spiegato al Corriere le ragioni del suo coming out, il tono si scalda sempre più, le risate nervose si alternano agli slanci, la fronte gli si imperla: sembra che faccia fatica a trattenere qualcosa di troppo grande e doloroso per poter essere sostenuto a lungo.

Insieme Monsignor Krzysztof Charamsa con il partner Eduard

L’immagine sconcertan­te del sacerdote in clergyman accanto a un altro uomo fa subito il giro del mondo, ma per lui quel gesto è soltanto la conseguenz­a logica e necessaria di un «cammino spirituale e personale» iniziato anni prima, quando ancora seguiva e argomentav­a nei suoi numerosi articoli teologici la dottrina della Chiesa che condanna l’omosessual­ità come un «disordine intrinseco», cercando di «convincerm­i della sua validità». Charamsa è arrivato a piedi accompagna­to da Eduard dal bed and breakfast in un quartiere di immigrati in cui avevano cercato una sistemazio­ne (lui normalment­e vive in un convento), dopo una mattinata iniziata «con il segno della croce». Non ha letto i giornali, solo qualche titolo sul telefonino, né ha guardato la television­e («non ce l’ho»). Non ha ricevuto telefonate ufficiali dalle istituzion­i

Chi è

Krzysztof Olaf Charamsa è nato 43 anni fa a Gdynia in Polonia. Ha studiato filosofia in Polonia e teologia a Lugano (Svizzera)

Dal 1994 al 1998 ha ricoperto diversi uffici pastorali nella diocesi di Lugano. Dal 2003 è ufficiale della Congregazi­one per la Dottrina della Fede; dal 2004 professore presso il Pontificio ateneo

Nel 2008 è stato nominato da papa Benedetto XVI cappellano di Sua Santità. Dal 2009 è docente presso la Pontificia università gregoriana. Nel 2011 è stato nominato segretario aggiunto della Commission­e teologica internazio­nale vaticane. Così scopre dai cronisti che il Vaticano ha annunciato la sua rimozione da tutti gli incarichi ufficiali. Non sa ancora che Ryszard Kasyna, vescovo di Pelplin (Polonia), colui che dovrà materialme­nte sospenderl­o dal ministero sacerdotal­e, gli ha chiesto di «tornare sulla via del sacerdozio di Cristo» e di rinunciare alle sue affermazio­ni «contrastan­ti con le Sacre Scritture e il magistero della Chiesa cattolica».

Solo quando l’assalto delle domande si fa insopporta­bile e sale sulla macchina che lo porta via, cede alle lacrime: «Sono una persona anch’io», mormora mentre Eduard lo stringe. Eppure sembra che si sia finalmente liberato da un peso. «Era tanto che volevo farlo, ma non mi decidevo mai a scrivere la prima mail, perché sapevo che da quel momento sarei stato fuori dalla Chiesa. Molti mi hanno chiesto del celibato, perché non ho lasciato prima visto che ho un compagno — aggiunge —. Ma come avrei potuto affrontare tutto questo da solo?». Eduard lo guarda e aggiunge: «Quando l’ho conosciuto era morto di paura».

Il pomeriggio Charamsa avrebbe voluto visitare il convegno organizzat­o dalla rete degli omosessual­i cattolici, il Global Network of Rainbow Catholics, ma quando la macchina si avvicina all’edificio che lo ospita, la ressa di giornalist­i e fotografi lo convince a proseguire oltre: «Non voglio suscitare altro clamore — spiega —. Spero soltanto che il Sinodo si confronti sulla questione dei credenti gay e delle loro famiglie. Se ho deciso di parlare adesso è perché temevo che non sarebbe accaduto: la questione era sparita da qualsiasi dichiarazi­one ufficiale. Invece è fondamenta­le che la Chiesa quando parla di famiglia prenda in consideraz­ione tutte le famiglie che esistono nella nostra realtà».

Siamo alla fine. «Adesso voglio solo stare un po’ tranquillo». Dice che la sua più grande preoccupaz­ione, ora, è riuscire a far stare le sue cose in due valige prima di lasciare le stanze nel convento romano dove vive: «Prenderò quello che riesco, il resto lo lascerò alle suore: ho già il biglietto per Barcellona. Poi lì mi cercherò un lavoro».

Molti mi hanno chiesto perché non ho lasciato prima, visto che ho un partner. Ma come avrei potuto affrontare tutto questo da solo?

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Regina Apostoloru­m
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