Mosca aumenta i raid E chiede agli Usa di non interferire
La Russia ha condotto più di 60 incursioni in Siria che, secondo lo Stato Maggiore, hanno avuto un grande successo: «C’è panico e ci sono disertori nelle fila dei terroristi». L’annuncio è del generale Andrej Kartapolov secondo cui non ci sarebbe stato alcun problema con gli americani. «Li abbiamo informati per tempo e abbiamo suggerito di ritirare dalle aree che avremmo colpito gli specialisti addestrati da loro. Abbiamo anche raccomandato di sospendere i voli nella zona dove i nostri aerei stavano per agire». Quasi una «no fly zone» che non avrebbe suscitato proteste degli Usa. Anzi, secondo il generale, «gli americani ci hanno notificato che in quella regione non c’erano che terroristi». Tutto bene, allora? Sentendo le altri fonti non sembra. La resistenza che riceve appoggi dagli Usa afferma che sono stati uccisi civili (si parla di 39 morti) e che le incursioni dei jet con la stella rossa sono solo in parte indirizzate contro l’Isis. In più alcuni di loro avrebbero chiesto a Washington missili terraaria per difendersi. Ma lo Stato Maggiore russo prosegue dritto per la sua strada: «Non solo continueremo con le sortite, ma le intensificheremo». Il generale Kartapolov, poi, mette in allarme gli alleati degli Usa. I raid russi avrebbero effetti così devastanti che quasi 600 militanti islamici «stanno tentando di arrivare in Europa».
«Certo che al momento del bombardamento nell’ospedale c’erano talebani tra i pazienti. Almeno una trentina, ma tutti feriti e senza armi. E con loro alcuni accompagnatori. A loro volta disarmati. La cosa non è strana. L’ospedale si trova in una zona che al momento è controllata dai talebani», ci ha detto ieri sera al telefono da Kunduz il trentaduenne Ahmad Jan, una delle guardie dell’ospedale di Medici Senza Frontiere colpito dalle bombe americane. Al momento è nascosto a casa di un amico nelle vicinanze dell’edificio danneggiato. «Tutta l’area è pattugliata dai talebani. Ho provato a uscire
Dopo le bombe, medici e infermieri hanno operato i casi più gravi fino all’alba, alla luce delle torce
per medicare le mie ferite. Sono per lo più schegge e vetri. Ma i talebani mi hanno ordinato di rientrare, altrimenti sparano, i combattimenti continuano».
Cosa è avvenuto al momento dell’attacco americano?
« Era in corso un intenso bombardamento su diverse aree della città e nei dintorni. Noi eravamo abbastanza tranquilli. Tutti sanno dove si trova il nostro ospedale. Io ero di guardia al secondo piano. Altri quindici colleghi erano di servizio. All’improvviso sono stato investito da una forte esplosione. Per fortuna erano le due di notte e la maggioranza della gente, tra personale medico e pazienti, dormivano nelle cantine-bunker. Altrimenti sarebbe stato un massacro peggiore».
Dove sono cadute le bombe?
«Non posso dirlo con precisione. Ero paralizzato dal terrore. La prima esplosione è forse stata la più potente. Ma non potevo muovermi, l’edificio ha preso fuoco, ho visto corpi senza arti, sangue, tanto sangue. C’erano a terra letti, strumenti medici, coperte. I feriti gridavano. Il caos totale». Quanto tempo è durato? «Alla prima bomba sono seguite altre. Siamo stati colpiti
Il centro
L’ospedale di Medici Senza Frontiere è l’unico funzionante a Kunduz, teatro negli ultimi giorni di violenti scontri tra i talebani e l’esercito afghano (appoggiato dai raid Nato) Cosa è successo dopo? «Sono rimasto lì a dare una mano al pronto soccorso. Ma molto è andato distrutto. Non credo che l’ospedale possa funzionare in queste condizioni. A metà mattina ho cercato di andarmene. Ma le strade sono insicure. I talebani sono ovunque. Così ho scelto di venire da un amico. La città appare semi abbandonata. Mancano acqua ed elettricità. Io stesso non so quando potrò tornare a casa dalla mia famiglia».