I 30 minuti della cannoniera volante
Gli americani avrebbero usato uno speciale aereo da combattimento, l’Ac-130 Spectre, che opera in coordinamento con truppe di terra. Quelle telefonate ignorate di Msf
C’era ancora Hamid Karzai presidente quando Kabul e gli americani hanno raggiunto un accordo: meno bombardamenti aerei, meno operazioni notturne delle forze speciali nei villaggi, limite a interventi in zone abitate. Intesa a tavolino messa in crisi dagli sviluppi bellici, con i talebani sempre più insidiosi e la conseguente risposta affidata all’aviazione. Una premessa per inquadrare la strage nell’ospedale di Kunduz, con medici e civili presi di mira da un attacco statunitense.
Le prime notizie hanno indicato il colpevole in un caccia apparso nella notte in sostegno alle truppe locali impegnate nella riconquista dell’area. Il Pentagono ha parlato, genericamente, di un incursione alle 2.15 «contro una minaccia». I testimoni hanno scandito diversamente le fasi. Alle 2.08 l’inizio dei colpi, devastanti. Gli ultimi alle 3.15.
Oltre un’ora di esplosioni nonostante le chiamate disperate di Medici Senza Frontiere al comando alleato. A condurre l’operazione — ipotizzano fonti Usa citate da Cnn e Washington Post — una cannoniera volante Ac-130, la Spectre. Una macchina da guerra letale, dotata di un cannone da 105 e altri «pezzi» minori, con sensori e telecamere. Vola in cerchio e «satura» l’obiettivo, di solito un concentramento di uomini e mezzi.
Dunque non un velivolo — sempre se è vera la teoria dell’Ac-130 — che sfila veloce e sgancia una bomba. Non un ordigno che sbaglia di qualche metro un target coinvolgendo una casa, un villaggio. Anche i tempi, come ha precisato il personale di Msf, non lasciano dubbi: si è trattato di una missione prolungata, con ripetuti passaggi. È quello che fa di solito la Spectre che resta nel settore fintanto che «ce n’è bisogno».
Un ufficiale afghano ha aggiunto una spiegazione che rafforza la tesi di un intervento andato oltre il limite. «C’erano 10-15 militanti nascosti nel centro ospedaliero, sparavano dal complesso». Nemici contro i quali hanno agito anche degli elicotteri delle forze locali.
Le ricostruzioni portano a uno scenario già visto. Miliziani e soldati afghani, appoggiati da team delle forze speciali americane, hanno chiesto l’intervento dell’Ac-130. Il velivolo spesso agisce in tandem con i commando, garantisce una copertura potente, preclude eventuali movimenti nemici. C’è un necessario coordinamento con le unità al suolo. Per due ragioni: devono individuare l’avversario ed evitare casi di fuoco amico. Tanto più quando il «teatro» accorcia le distanze tra i contendenti come avviene a Kunduz.
Se è andata così si tratta di un doppio errore. Tragico. Il primo, di chi era a terra. Il secondo, di chi ha sparato. Senza dimenticare che Msf aveva più volte segnalato, fornendo le coordinate precise, la presenza dell’equipe sanitaria. E comunque non era un veicolo sospetto in movimento nell’oscurità, ma un grande edificio noto a tutti. Ora sarà un generale a dover trovare le risposte ai terribili «effetti collaterali», definizione asettica per decine di vite cancellate.
Senza volere essere cinici è però evidente che nei nuovi conflitti, dove guerriglieri si nascondono in centri abitati o si mimetizzano tra la popolazione, i rischi di coinvolgere chi non c’entra sono altissimi. Pochi giorni fa i sauditi hanno bombardato una festa nuziale nello Yemen: 130 le vittime di una crisi offuscata da altre più vicine ma non per questo meno grave.
Ieri i russi hanno provocato molti morti nei loro attacchi in Siria, eliminando degli insorti, e con loro anche donne e bambini. Andando un poco più indietro come non ricordare la vicenda di Giovanni Lo Porto ucciso da un drone insieme all’ostaggio americano Warren Weinstein. Il pilota era certo che dentro la casa si nascondessero solo qaedisti, così aveva detto l’intelligence. Invece c’erano anche i due prigionieri. Esseri umani trasformati, nello spazio di un minuto, in soldati.
@guidoolimpio