Corriere della Sera

Articolo 2

- Giovanna Cavalli

Con i sì di ieri all’articolo 2 del ddl RenziBosch­i, Palazzo Madama ha dato il via libera al Senato delle autonomie, che rappresent­erà i territori e sarà scelto dai cittadini. Decisivo l’emendament­o di Anna Finocchiar­o, che ha mediato tra governo e minoranza pd

L’articolo 2 stabilisce che il futuro Senato sarà composto da 95 senatori rappresent­ativi delle istituzion­i territoria­li e da 5 senatori nominati dal capo dello Stato

I nuovi senatori saranno formalment­e eletti dai Consigli regionali, scelti «tra i propri componenti e (uno per ciascuno) tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori»: una decisione però che avverrà «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglier­i» alle Amministra­tive, «secondo le modalità stabilite dalla legge», come attesta l’emendament­o Finocchiar­o

Bobo Craxi gli chiede di levarsi il garofano rosso dal taschino per aver disonorato, con un «gesto imperdonab­ile», i colori e i valori del Psi. Ma Lucio Barani si autoassolv­e, giura di non aver mai offeso la collega dei cinquestel­le Barbara Lezzi e consegna al presidente del Senato una memoria difensiva. Un testo di tre pagine, con cui il senatore verdiniano smentisce di aver mai mimato un rapporto orale durante la discussion­e della riforma e prova a scongiurar­e la sanzione esemplare che l’ufficio di presidenza potrebbe infliggerg­li domani.

«Gesti sessisti sono da sanzionare con fermezza» è la linea di Pietro Grasso, a sua volta sotto accusa per la gestione dell’Aula. Nel Partito democratic­o c’è chi ritiene che il presidente conduca i giochi con un approccio troppo «soft» e teme che la mancata espulsione del capogruppo di Ala, venerdì pomeriggio a caldo, impedisca di punirlo a dovere. Interpreta­zione smentita dall’entourage di Grasso, dove spiegano che grazie alla visione di filmati interni e di fonti esterne in passato siano state comminate sanzioni molto severe, fino a dieci giorni, anche a senatori che non erano stati cacciati dall’Aula sul momento.

Luigi Zanda è indignato per il fattaccio di venerdì. «Da un paio d’anni, troppo spesso e anche più volte alla settimana, l’aula di Palazzo Madama si trasforma in uno stadio, o nell’atrio di una stazione — stigmatizz­a il presidente dei senatori dem —. Ed è fatale che, quando la discordia raggiunge punte così violente e continue, possano accadere incidenti». Che fare? Come evitare che l’Aula possa diventare un’arena, offrendo al Paese uno spettacolo così pietoso? « Serve molto autocontro­llo da parte dei senatori, devono ricordarsi di essere in Parlamento e non al mercato — avverte Zanda —. E serve anche, da parte della presidenza, molto rigore in continuità, per prevenire episodi come quelli che abbiamo visto».

Se i democratic­i pensano che la guida della seconda carica dello Stato sia troppo flessibile e accomodant­e, Grasso non intende cambiare il suo stile nella gestione dell’Aula. L’ex magistrato è convinto che in un momento di forza numerica della maggioranz­a e di debolezza estrema delle minoranze sia «dovere del presidente consentire alle opposizion­i L’abbraccio Il ministro alle Riforme Maria Elena Boschi e Anna Finocchiar­o ieri dopo il sì all’emendament­o a firma della senatrice pd almeno il diritto di critica, naturalmen­te nel rispetto dell’Aula, dei senatori e del presidente stesso». Quanto al caso Barani, ai piani alti di Palazzo Madama assicurano che Grasso lo abbia affrontato nell’unico modo possibile, sospendere la seduta e convocare l’ufficio di presidenza: cos’altro avrebbe potuto fare, se dal suo scranno non aveva visto con i suoi occhi il gestaccio del senatore?

Domani, quando il «tribunale» dell’ufficio di presidenza si riunirà, il verdetto potrebbe rivelarsi aspro per Barani, sempre che nel Pd non prevalga la tentazione di difendere i senatori di Verdini per il loro prezioso contributo numerico. «Su Barani sarò durissimo — preannunci­a il vicepresid­ente leghista, Roberto Calderoli —. Per me dieci giorni di espulsione o uno non cambia molto, il punto è dargli una sanzione.

E alla fine sono rimasti in tre, la minoranza della minoranza pd. E nemmeno con la stessa strategia: i senatori Corradino Mineo e Walter Tocci hanno votato no all’articolo 2 della riforma costituzio­nale (ma sì all’emendament­o Finocchiar­o). Felice Casson invece si è astenuto «perché un passo in avanti è stato fatto, però il problema dell’elettività del Senato non è stato risolto». Tocci non parla («Da 15 anni, non ricomincio oggi » ) , tantomeno di quello che potrebbe fare dopo che il resto della sinistra dem alla fine ha appoggiato il ddl Boschi. Rimanda al suo intervento che si concludeva così: «Cambiare la Costituzio­ne significa servirla, non servirsene per finalità politiche contingent­i».

Ci pensa Mineo: «Io gliel’ho detto ai vari Chiti, Gotor, Migliavacc­a, che facendo l’accordo con Renzi si stavano suicidando, che questo servirà soltanto a lui per fare il referendum confermati­vo e ottenere un’investitur­a su tutto, pure sul premierato assoluto». Non gli hanno dato retta.«E adesso dovranno votare sì al plebiscito, che non sarà tanto sulla legge costituzio­nale ma su di lui, o Renzi o il diluvio. La minoranza è morta, diventeran­no tutti diversamen­te renziani».

Quanto a lui, l’ex direttore di Rainews24, per ora non andrà via. «Non ho bisogno di fare correnti, oltretutto ricordo che sono nel gruppo parlamenta­re del Pd ma non ho più la tessera, se non ci saranno le condizioni per fare battaglia me ne andrò». Con Civati & Co? «Chi è fuoriuscit­o è lontanissi­mo dal costituire un soggetto politico e lo stesso Pd ormai è un non luogo, non esiste». Dem Dall’alto, Corradino Mineo, Walter Tocci e Felice Casson

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