Articolo 2
Con i sì di ieri all’articolo 2 del ddl RenziBoschi, Palazzo Madama ha dato il via libera al Senato delle autonomie, che rappresenterà i territori e sarà scelto dai cittadini. Decisivo l’emendamento di Anna Finocchiaro, che ha mediato tra governo e minoranza pd
L’articolo 2 stabilisce che il futuro Senato sarà composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori nominati dal capo dello Stato
I nuovi senatori saranno formalmente eletti dai Consigli regionali, scelti «tra i propri componenti e (uno per ciascuno) tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori»: una decisione però che avverrà «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri» alle Amministrative, «secondo le modalità stabilite dalla legge», come attesta l’emendamento Finocchiaro
Bobo Craxi gli chiede di levarsi il garofano rosso dal taschino per aver disonorato, con un «gesto imperdonabile», i colori e i valori del Psi. Ma Lucio Barani si autoassolve, giura di non aver mai offeso la collega dei cinquestelle Barbara Lezzi e consegna al presidente del Senato una memoria difensiva. Un testo di tre pagine, con cui il senatore verdiniano smentisce di aver mai mimato un rapporto orale durante la discussione della riforma e prova a scongiurare la sanzione esemplare che l’ufficio di presidenza potrebbe infliggergli domani.
«Gesti sessisti sono da sanzionare con fermezza» è la linea di Pietro Grasso, a sua volta sotto accusa per la gestione dell’Aula. Nel Partito democratico c’è chi ritiene che il presidente conduca i giochi con un approccio troppo «soft» e teme che la mancata espulsione del capogruppo di Ala, venerdì pomeriggio a caldo, impedisca di punirlo a dovere. Interpretazione smentita dall’entourage di Grasso, dove spiegano che grazie alla visione di filmati interni e di fonti esterne in passato siano state comminate sanzioni molto severe, fino a dieci giorni, anche a senatori che non erano stati cacciati dall’Aula sul momento.
Luigi Zanda è indignato per il fattaccio di venerdì. «Da un paio d’anni, troppo spesso e anche più volte alla settimana, l’aula di Palazzo Madama si trasforma in uno stadio, o nell’atrio di una stazione — stigmatizza il presidente dei senatori dem —. Ed è fatale che, quando la discordia raggiunge punte così violente e continue, possano accadere incidenti». Che fare? Come evitare che l’Aula possa diventare un’arena, offrendo al Paese uno spettacolo così pietoso? « Serve molto autocontrollo da parte dei senatori, devono ricordarsi di essere in Parlamento e non al mercato — avverte Zanda —. E serve anche, da parte della presidenza, molto rigore in continuità, per prevenire episodi come quelli che abbiamo visto».
Se i democratici pensano che la guida della seconda carica dello Stato sia troppo flessibile e accomodante, Grasso non intende cambiare il suo stile nella gestione dell’Aula. L’ex magistrato è convinto che in un momento di forza numerica della maggioranza e di debolezza estrema delle minoranze sia «dovere del presidente consentire alle opposizioni L’abbraccio Il ministro alle Riforme Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro ieri dopo il sì all’emendamento a firma della senatrice pd almeno il diritto di critica, naturalmente nel rispetto dell’Aula, dei senatori e del presidente stesso». Quanto al caso Barani, ai piani alti di Palazzo Madama assicurano che Grasso lo abbia affrontato nell’unico modo possibile, sospendere la seduta e convocare l’ufficio di presidenza: cos’altro avrebbe potuto fare, se dal suo scranno non aveva visto con i suoi occhi il gestaccio del senatore?
Domani, quando il «tribunale» dell’ufficio di presidenza si riunirà, il verdetto potrebbe rivelarsi aspro per Barani, sempre che nel Pd non prevalga la tentazione di difendere i senatori di Verdini per il loro prezioso contributo numerico. «Su Barani sarò durissimo — preannuncia il vicepresidente leghista, Roberto Calderoli —. Per me dieci giorni di espulsione o uno non cambia molto, il punto è dargli una sanzione.
E alla fine sono rimasti in tre, la minoranza della minoranza pd. E nemmeno con la stessa strategia: i senatori Corradino Mineo e Walter Tocci hanno votato no all’articolo 2 della riforma costituzionale (ma sì all’emendamento Finocchiaro). Felice Casson invece si è astenuto «perché un passo in avanti è stato fatto, però il problema dell’elettività del Senato non è stato risolto». Tocci non parla («Da 15 anni, non ricomincio oggi » ) , tantomeno di quello che potrebbe fare dopo che il resto della sinistra dem alla fine ha appoggiato il ddl Boschi. Rimanda al suo intervento che si concludeva così: «Cambiare la Costituzione significa servirla, non servirsene per finalità politiche contingenti».
Ci pensa Mineo: «Io gliel’ho detto ai vari Chiti, Gotor, Migliavacca, che facendo l’accordo con Renzi si stavano suicidando, che questo servirà soltanto a lui per fare il referendum confermativo e ottenere un’investitura su tutto, pure sul premierato assoluto». Non gli hanno dato retta.«E adesso dovranno votare sì al plebiscito, che non sarà tanto sulla legge costituzionale ma su di lui, o Renzi o il diluvio. La minoranza è morta, diventeranno tutti diversamente renziani».
Quanto a lui, l’ex direttore di Rainews24, per ora non andrà via. «Non ho bisogno di fare correnti, oltretutto ricordo che sono nel gruppo parlamentare del Pd ma non ho più la tessera, se non ci saranno le condizioni per fare battaglia me ne andrò». Con Civati & Co? «Chi è fuoriuscito è lontanissimo dal costituire un soggetto politico e lo stesso Pd ormai è un non luogo, non esiste». Dem Dall’alto, Corradino Mineo, Walter Tocci e Felice Casson