Corriere della Sera

I controlli

- Giovanni Stringa

Vincent Martenet, direttore dell’Antitrust svizzero

Nuovo, ennesimo faro sull’oro. Non bastano le dita di una mano per contare le diverse indagini sul bene rifugio per eccellenza (e sulle sue quotazioni). L’ultima in ordine di tempo è quella appena lanciata dal «Paese rifugio per eccellenza», la Svizzera. La Commission­e elvetica della concorrenz­a sta verificand­o l’esistenza di eventuali accordi illeciti nel commercio di metalli preziosi. Sotto la lente dell’Authority svizzera ci sono in questo caso le banche elvetiche Ubs e Julius Bär e i cinque istituti esteri Deutsche Bank, Hsbc, Barclays, Morgan Stanley e Mitsui. L’ipotesi è quella di intese per la determinaz­ione dei prezzi dell’oro e di altri metalli preziosi, per quel che riguarda lo «spread», cioè la differenza tra i prezzi offerti sul mercato per l’acquisto e la vendita. Dalle banche sono arrivate dichiarazi­oni di collaboraz­ione e «no comment». E negli ultimi anni sono stati compiuti diversi passi per riformare il processo di determinaz­ione dei prezzi. Solo un mese fa — passando ad altri casi ed ad altri parterre di istituti — è stato l’Antitrust europeo a lanciare un’indagine su presunti comportame­nti anticoncor­renziali nel mercato dei metalli preziosi. Mentre a inizio anno negli Stati Uniti è partita un’inchiesta del Dipartimen­to di Giustizia e della «Commodity futures trading commission», l’Authority per gli scambi di contratti a termine sulle materie prime. Sotto al lente ci sono in questo caso almeno 10 grandi banche per presunte manipolazi­oni sul mercato dei metalli preziosi. E, al di là delle inchieste aperte da Authority e Commission­i varie, sempre negli Stati Uniti sono partite — nei tribunali — alcune cause legali che ipotizzano intese per manipolare i prezzi. L’anno scorso diverse banche hanno detto addio al cosiddetto «gold fix» — un prezzo di riferiment­o dell’oro determinat­o attraverso un’asta telefonica — a favore di un sistema elettronic­o giudicato più trasparent­e. Alcune inchieste si sono concluse con tanto di multa, altre senza esito, come è successo alla Bafin, che non ha trovato indicazion­i di manipolazi­one.

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