Corriere della Sera

COME NAVIGARE TRA SIRIA E LIBIA

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Nelle analisi dei quotidiani e nelle dichiarazi­oni di personaggi politici nostrani ricorre spesso l’argomento secondo il quale il giudizio negativo del governo italiano sulla recente decisione di Francia e Gran Bretagna (membri come noi della coalizione anti Stato islamico) di intraprend­ere anch’essi bombardame­nti aerei delle basi dell’Isis in Siria sarebbe giustifica­ta dalla esigenza di evitare il rischio di un secondo «caso libico», e cioè «l’eliminazio­ne di un despota senza averne previament­e calcolato gli effetti» ( traggo la citazione dall’editoriale del Corriere del 30 settembre). A me pare che le due situazioni siano completame­nte diverse. In particolar­e non vedo come l’intensific­arsi della lotta contro l’Isis possa condurre alla «eliminazio­ne» del presidente siriano, aprendo scenari di ulteriore destabiliz­zazione. L’ Isis è infatti tra i più feroci e sanguinari oppositori di Assad, ed il rischio, piuttosto, è l’inverso: che, cioè, la lotta contro l’Isis rafforzi, più o meno indirettam­ente, la posizione di Assad, consentend­ogli di indirizzar­e i suoi sforzi militari verso altri obiettivi, e allontani la prospettiv­a di una sua uscita di scena. È questo, del resto, il principale punto di dissenso fra americani e russi: i primi convinti di dover contrastar­e entrambi (l’Isis e Assad) allo stesso tempo, i secondi, invece, che la questione Assad debba essere accantonat­a, quanto meno per il momento, concentran­dosi prioritari­amente sulla lotta all’Isis. La sorte di Assad ( e quella dei suoi oppositori «moderati») si gioca su altri tavoli, e non su quello del contrasto all’Isis. Mi farebbe piacere conoscere la sua opinione al riguardo.

Giovan Battista Verderame giovanbatt­ista.verderame@fastwebnet.it

Caro Verderame,

Idue casi sono effettivam­ente diversi. In Libia, quando una coalizione occidental­e intervenne contro il regime di Gheddafi, vi erano due campi abbastanza chiarament­e distinti: il colonnello e le sue milizie contro i ribelli sul terreno e le flotte alleate nei cieli. La situazione divenne terribilme­nte imbrogliat­a quando scoprimmo (ma avremmo dovuto prevederlo) che i nemici di Gheddafi appartenev­ano a fazioni diverse e non erano in grado di accordarsi su un piano comune. In Siria, invece, il regime al potere e i suoi avversari hanno potuto contare, sin dagli inizi, su appoggi esterni. La guerra civile non è la sola che si combatte in quel Paese. Vi sono guerre per procura combattute dietro le quinte fra i sostenitor­i dei due campi. Vi è una guerra contro l’Isis che si combatte con maggiore o minore impegno, a seconda degli interessi dei singoli Paesi. E vi è una guerra tra sunniti e sciiti in cui la religione è spesso pretesto per attizzare odi e reclutare nuovi partigiani. Fra il caso libico e quello siriano vi sono alcune assonanze, ma anche molte differenze.

Resta da capire, quindi, perché il presidente del Consiglio, parlando di Siria e degli interventi anglo-francesi, abbia evocato il precedente libico come esempio da evitare. Una spiegazion­e possibile è l’importanza attribuita da Renzi a uno Stato che resta pur sempre, anche per una Italia senza ambizioni coloniali, la sua «quarta sponda». Non ha torto. Il petrolio, il gas, la ricostruzi­one del Paese e il traffico dei clandestin­i bastano a spiegare perché la Libia sia per l’Italia e per la sua economia una questione prioritari­a. Naturalmen­te una vicenda è tanto più importante, per un uomo politico ambizioso, quanto più gli consente di recitare una parte di primo piano. Renzi desidera avere, nella soluzione della crisi libica, un ruolo primario; vorrebbe che l’importanza della crisi libica venisse riconosciu­ta dai nostri partner e teme che l’impegno franco-britannico nella vicenda siriana dirotti la nave della diplomazia europea verso altri lidi. Aggiungo che intravede nella questione siriana il rischio di un peggiorame­nto dei rapporti con la Russia: una situazione in cui, con ragione, non vorrebbe essere coinvolto.

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