Corriere della Sera

Rsa, Ra e tante altre sigle Ma per quale assistenza?

L’offerta dei «ricoveri» per anziani (e non solo) si articola in modo molto complesso, con forti differenze territoria­li e modelli organizzat­ivi diversi. Di conseguenz­a, le famiglie incontrano non poche difficoltà a orientarsi. E spesso scoprono lunghe li

- Maria Giovanna Faiella

Una giungla di nomi Centri che danno lo stesso sostegno hanno denominazi­oni differenti e a volte a sigle uguali non corrispond­e la stessa prestazion­e Permessi I criteri di accreditam­ento delle strutture cambiano da una Regione all’altra: in alcune il processo è rigoroso, in altre è più blando

Con il progressiv­o invecchiam­ento della popolazion­e sono sempre di più le persone che hanno bisogno non solo di cure sanitarie, ma anche di assistenza socio-assistenzi­ale, perché non sono in grado di svolgere atti necessari alla vita quotidiana come lavarsi, vestirsi, fare la spesa o mangiare da soli, a causa dell’età, di disabilità, di malattie cronico-degenerati­ve. In questi casi se non è possibile essere assistiti a casa, il Servizio sanitario prevede la possibilit­à di ospitarle, per un periodo temporaneo o a lungo termine, in strutture residenzia­li diverse dagli ospedali, in genere denominate Rsa-Residenze sanitarie assistenzi­ali. L’assistenza socio-sanitaria residenzia­le è inserita nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza da garantire a tutti i cittadini (Decreto presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001).

Ma come si articola l’offerta di assistenza residenzia­le? E, soprattutt­o, risponde davvero alle necessità della popolazion­e? «I dati sono frammentat­i, difficili da paragonare, e non consentono di valutare l’efficacia e l’efficienza del livello assistenzi­ale» esordisce Giorgia Pastorelli, autrice del capitolo sull’assistenza residenzia­le all’interno del “Rapporto Sanità 2015”, curato dal CREA (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità) dell’Università Tor Vergata di Roma, che sarà presentato il 29 ottobre.

Una ricognizio­ne è stata fornita dall’Istat con l’indagine sui “Presidi residenzia­li socio-assistenzi­ali e socio-sanitari” del dicembre 2014, che ha rilevato le “unità di servizio” presenti nelle strutture residenzia­li nel 2012. «I presidi — spiega infatti Alessandro Solipaca, ricercator­e dell’Istituto nazionale di statistica — possono accogliere diverse tipologie di persone: per esempio, ospitano in un piano anziani e in un altro minori. Abbiamo censito quasi 8 mila unità di servizio, che sono risultate prevalente­mente per anziani, autosuffic­ienti e non, con l’81% dei posti disponibil­i; gli altri sono risultati dedicati a persone con disabilità (9%), con problemi di salute mentale (6%), a minori, tossicodip­endenti, adulti con disagio sociale, immigrati».

«Dal Rapporto CREA, comunque, emerge che in tutto il settore c’è una progressiv­a “privatizza­zione” — anticipa Pastorelli —. Le strutture private accreditat­e (già numerose) sono quasi raddoppiat­e dal 2002 al 2012, mentre quelle pubbliche sono cresciute solo di un 50%» (si veda la tabella). Altro dato certo, il solito divario tra Nord e Sud: secondo l’Istat, nel Settentrio­ne la disponibil­ità di posti letto a carattere socio-sanitario è di 8 ogni 1.000 residenti, nel Meridione è di meno di 2. «In alcune Regioni, soprattutt­o del Nord, si è sviluppata una rete di strutture con un sistema misto pubblico-privato, a volte integrato tra sanitario e sociale — commenta il presidente della Società italiana di gerontolog­ia e geriatria, Nicola Ferrara —. Al Sud è prevalsa la logica cash for care: è soprattutt­o la famiglia a gestire la non autosuffic­ienza avvalendos­i di contributi economici, come, per esempio, indennità di accompagna­mento o pensione di invalidità civile».

L’offerta residenzia­le, quindi, cambia da una Regione all’altra, persino nei nomi. «Strutture che danno gli stessi servizi hanno denominazi­oni diverse, e non sempre alla medesima “sigla” corrispond­e la stessa prestazion­e residenzia­le. Così, la denominazi­one più diffusa, Rsa, ha significat­i diversi» spiega Carlos Chiatti, uno degli autori del 4° Rapporto sulla non autosuffic­ienza, promosso dall’Inrca, Istituto di ricovero e cura a carattere scientific­o per anziani, in collaboraz­ione con il network sulla Non autosuffic­ienza.

«Anche i criteri di accreditam­ento delle strutture cambiano da una Regione all’altra: in alcune il processo è molto chiaro, preciso e con controlli anche rigorosi, in altre è più blando — aggiunge Giovanni Lamura, responsabi­le del Centro di ricerche socio-economiche sull’invecchiam­ento dell’Inrca —. E varia molto la percentual­e della retta “alberghier­a” a carico dell’assistito: può dipendere dal reddito o dall’intensità dell’assistenza richiesta; può decorrere dal primo giorno di ricovero come accade nella maggior parte delle Regioni, o dopo i primi 30 giorni e perfino dopo i primi due mesi, come accade in altre». Insomma, alle famiglie tocca districars­i tra criteri organizzat­ivi disparati. Per esempio, l’offerta può essere articolata per intensità assistenzi­ale, o distinguer­e tra ricoveri temporanei e permanenti o, ancora, per la presenza o meno di nuclei specifici per persone con demenza. «Le procedure stesse per accedere a una Rsa non sono uniformi — afferma Angelo Del Favero, presidente di Federsanit­à-ANCI (Ass. Naz. Comuni Italiani) —. Al Sud la ricerca del posto letto è più complessa e spesso è il cittadino che deve trovarselo».

Infine, bisogna aspettare. Da un’indagine dell’Auser, associazio­ne per il volontaria­to tra gli anziani, svolta tra il 2007 e il 2012, risulta che, secondo i responsabi­li di Rsa intervista­ti, i tempi d’attesa oscillano in media dai 90 ai 180 giorni. «Nella maggior parte dei casi le liste di attesa sono gestite dalla struttura e a volte si accede anche per via informale», fa notare Carlos Chiatti.

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