Manca un sistema uniforme di valutazione della qualità
Secondo l’Istat ( si veda sopra), circa l’80% delle “Unità di servizio” all’interno delle Rsa fornisce “un livello di assistenza sanitaria medio-alto, erogando trattamenti medico-sanitari di lungo periodo a pazienti in condizioni di non autosufficienza”. Ma di che cosa hanno bisogno gli anziani non autosufficienti?
Stanno cercando di appurarlo gli autori del 5° Rapporto sulla non autosufficienza (promosso dall’Inrca, in collaborazione con il network sulla Non autosufficienza), che sarà pubblicato prossimamente. Ma già ora dai dati raccolti emerge un gap tra Nord e Sud. Riferisce uno degli autori, Giovanni Lamura: «Mentre in alcune Regioni del Centro-Nord (Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria) oltre il 90% degli utenti anziani necessita di cure di livello medio e alto, al Sud si riscontra una porzione rilevante (18-33%) anche di assistenza sanitaria di basso livello (in Basilicata, Campania, Molise, Sardegna). Anomali, poi, i dati delle Marche: l’86% degli anziani in Rsa necessita di cure di livello basso o perfino di nessuna cura».
Si sa poco, invece, della qualità dei servizi offerti. «Se le strutture fossero tenute a valutare le condizioni del paziente con strumenti standard — sottolinea Carlos Chiatti, uno degli autori del Rapporto —, avremmo dati comparabili. Per esempio, se in una Rsa si registrasse una prevalenza di piaghe da decubito o infezioni sopra la media dovrebbero partire d’ufficio i controlli. Che andrebbero fatti da un ente terzo, come avviene negli Stati Uniti». La qualità dipende anche dalle risorse disponibili? «Innanzitutto, dal personale impiegato — risponde Chiatti —. È dimostrato scientificamente che più personale viene impiegato, maggiore è il benessere e la qualità di vita dell’ospite».