In Lombardia
In molti contesti la «sanitarizzazione» è diventata l’unica strada percorsa Ci sono esperimenti in cui le persone stanno a casa e le Rsa danno servizi e interventi
“specifico” per chi soffre di Alzheimer (o di patologie affini), dove vengono ricoverati i pazienti con maggiori difficoltà.
Questo significa che la demenza è di casa nelle strutture per anziani. Non l’eccezione. È importante tenerlo presente.
Come vivono le persone con Alzheimer (per indicare la demenza più diffusa) nelle Residenze sanitarie assistenziali? Raccogliendo materiale per il libro “Quando andiamo a casa?” (edito dalla Bur) ho frequentato decine di queste strutture dall’Alto Adige al Sud Italia, parlando con ospiti, familiari, operatori. Il ventaglio di situazioni (e di giudizi) è molto ampio. Ma si può dire che la meta della “normalità di vita” non sia sempre una priorità o un obiettivo raggiunto. In molti contesti la “sanitarizzazione” diventa l’unico sinonimo e l’unica strada per la “cura” delle persone con disturbi cognitivi: Rsa come clinicheospedali o, nei peggiori dei casi, come cronicari di fine-vita senza dignità.
D’altra parte esistono molti esempi di strutture che mettono al centro della loro organizzazione “il benessere” degli ospiti, magari a fronte di situazioni familiari che renderebbero la permanenza nella propria abitazione simile a quella di detenuti in isolamento.
Casa non è sempre sinonimo di benessere. O di libertà. Uno studio choc ha dimostrato che in Gran Bretagna la maggioranza delle persone con demenza (comprese quelle che vivono al proprio domicilio) non esce mai (pur non avendo impedimenti fisici di sorta).
Il dilemma che molte famiglie (compresa la mia) si trovano o si sono trovate ad affrontare: tenere a casa il proprio caro o “portarlo” in una struttura? Se, anche nella cura delle persone con demenza, l’obiettivo è quello di disegnare un percorso il più possibile “su misura” (tailored, come un vestito fatto dal sarto) tenendo conto delle storie individuali e del grado di malattia, allora per nessuno dovrebbe essere così straziante quel dilemma familiare (psicologico, economico etc).
Casa o ricovero? In questa luce tutte le Rsa dovrebbero ga- rantire un livello accettabile di “normalità di vita”. Se l’olandese Hogewey è un miraggio alla moda irrealizzabile, o comunque irriproducibile su larga scala, i modelli di “residenzialità leggera” e di “Rsa aperte” costituiscono già oggi e qui una realtà concreta da diffondere e sperimentare.
Cos’è la residenzialità leggera? Non pensate a Psa (palafitte sanitarie assistenziali) ma a realtà abitative in cui persone con demenza lieve-moderata possono vivere in un ambiente molto poco ospedaliero, con costi minori rispetto alle Rsa tradizionali e con superiore normalità di vita.
Solo a titolo di esempio (vuol dire che si può!) possiamo citare la residenza Sinergy creata dalla cooperativa Il Melo nel centro di Cardano Al Campo o da quella del Gabbiano (Casa Garda) nel centro di Leno (provincia di Brescia). Non è un caso che entrambi siano stati realizzati nel cuore dei rispettivi paesi. Assistenza “leggera”, servizi comunque. Ma attenzione concentrata sull’aspetto “relazionale” più che sanitario del concetto di cura.
Anche dove le Rsa rimangono residenze “pesanti”, non è detto che non possano aprirsi per “alleggerire” il carico sulle famiglie. È il modello delle cosiddette “Rsa aperte” sperimentato in Lombardia. Le persone con demenza rimangono a casa loro, e le Rsa forniscono servizi e interventi (ancora troppo pochi) a sostegno della domiciliarità. Ritardando così il momento in cui per le famiglie di presenterà il dilemma: casa o struttura?A volte ci vuole poco, per cambiare l’aria in una Rsa.
Entrare nella camera di un ospite chiedendo permesso, per esempio, lo fa sentire meno ospite, più indipendente. “Giorni normali” è un documentario girato da Stefano Forlani in alcune Rsa lombarde per conto dell’associazione Al Confine.
È un lavoro interessante, che il Corriere mette a disposizione sul Canale Salute. Non può e non deve essere normalità, per esempio, che una persona con demenza debba essere vestita dagli operatori (per quanto dedicati) in maniera meccanica, senza una parola, un avvertimento, come fosse un manichino. Sono pezzetti essenziali di capitale umano, di buona vita. La signora Maria, seduta su una sedia a rotelle legata con una cintura al termosifone, in una camerata di una cosiddetta Rsa di Roma un giorno mi ha detto: “Mi chiamo Maria, è un po’ che ho questo nome. Qui si sta bene, ma ci vuole calma e profumo”.
@mikele_farina