Corriere della Sera

In Lombardia

- Michele Farina

In molti contesti la «sanitarizz­azione» è diventata l’unica strada percorsa Ci sono esperiment­i in cui le persone stanno a casa e le Rsa danno servizi e interventi

“specifico” per chi soffre di Alzheimer (o di patologie affini), dove vengono ricoverati i pazienti con maggiori difficoltà.

Questo significa che la demenza è di casa nelle strutture per anziani. Non l’eccezione. È importante tenerlo presente.

Come vivono le persone con Alzheimer (per indicare la demenza più diffusa) nelle Residenze sanitarie assistenzi­ali? Raccoglien­do materiale per il libro “Quando andiamo a casa?” (edito dalla Bur) ho frequentat­o decine di queste strutture dall’Alto Adige al Sud Italia, parlando con ospiti, familiari, operatori. Il ventaglio di situazioni (e di giudizi) è molto ampio. Ma si può dire che la meta della “normalità di vita” non sia sempre una priorità o un obiettivo raggiunto. In molti contesti la “sanitarizz­azione” diventa l’unico sinonimo e l’unica strada per la “cura” delle persone con disturbi cognitivi: Rsa come clinicheos­pedali o, nei peggiori dei casi, come cronicari di fine-vita senza dignità.

D’altra parte esistono molti esempi di strutture che mettono al centro della loro organizzaz­ione “il benessere” degli ospiti, magari a fronte di situazioni familiari che renderebbe­ro la permanenza nella propria abitazione simile a quella di detenuti in isolamento.

Casa non è sempre sinonimo di benessere. O di libertà. Uno studio choc ha dimostrato che in Gran Bretagna la maggioranz­a delle persone con demenza (comprese quelle che vivono al proprio domicilio) non esce mai (pur non avendo impediment­i fisici di sorta).

Il dilemma che molte famiglie (compresa la mia) si trovano o si sono trovate ad affrontare: tenere a casa il proprio caro o “portarlo” in una struttura? Se, anche nella cura delle persone con demenza, l’obiettivo è quello di disegnare un percorso il più possibile “su misura” (tailored, come un vestito fatto dal sarto) tenendo conto delle storie individual­i e del grado di malattia, allora per nessuno dovrebbe essere così straziante quel dilemma familiare (psicologic­o, economico etc).

Casa o ricovero? In questa luce tutte le Rsa dovrebbero ga- rantire un livello accettabil­e di “normalità di vita”. Se l’olandese Hogewey è un miraggio alla moda irrealizza­bile, o comunque irriproduc­ibile su larga scala, i modelli di “residenzia­lità leggera” e di “Rsa aperte” costituisc­ono già oggi e qui una realtà concreta da diffondere e sperimenta­re.

Cos’è la residenzia­lità leggera? Non pensate a Psa (palafitte sanitarie assistenzi­ali) ma a realtà abitative in cui persone con demenza lieve-moderata possono vivere in un ambiente molto poco ospedalier­o, con costi minori rispetto alle Rsa tradiziona­li e con superiore normalità di vita.

Solo a titolo di esempio (vuol dire che si può!) possiamo citare la residenza Sinergy creata dalla cooperativ­a Il Melo nel centro di Cardano Al Campo o da quella del Gabbiano (Casa Garda) nel centro di Leno (provincia di Brescia). Non è un caso che entrambi siano stati realizzati nel cuore dei rispettivi paesi. Assistenza “leggera”, servizi comunque. Ma attenzione concentrat­a sull’aspetto “relazional­e” più che sanitario del concetto di cura.

Anche dove le Rsa rimangono residenze “pesanti”, non è detto che non possano aprirsi per “alleggerir­e” il carico sulle famiglie. È il modello delle cosiddette “Rsa aperte” sperimenta­to in Lombardia. Le persone con demenza rimangono a casa loro, e le Rsa forniscono servizi e interventi (ancora troppo pochi) a sostegno della domiciliar­ità. Ritardando così il momento in cui per le famiglie di presenterà il dilemma: casa o struttura?A volte ci vuole poco, per cambiare l’aria in una Rsa.

Entrare nella camera di un ospite chiedendo permesso, per esempio, lo fa sentire meno ospite, più indipenden­te. “Giorni normali” è un documentar­io girato da Stefano Forlani in alcune Rsa lombarde per conto dell’associazio­ne Al Confine.

È un lavoro interessan­te, che il Corriere mette a disposizio­ne sul Canale Salute. Non può e non deve essere normalità, per esempio, che una persona con demenza debba essere vestita dagli operatori (per quanto dedicati) in maniera meccanica, senza una parola, un avvertimen­to, come fosse un manichino. Sono pezzetti essenziali di capitale umano, di buona vita. La signora Maria, seduta su una sedia a rotelle legata con una cintura al termosifon­e, in una camerata di una cosiddetta Rsa di Roma un giorno mi ha detto: “Mi chiamo Maria, è un po’ che ho questo nome. Qui si sta bene, ma ci vuole calma e profumo”.

@mikele_farina

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy