Mai «parcheggi per vecchi» Il welfare del futuro dovrà mettere al centro la persona
Le residenze per anziani non piacciono alla maggioranza degli italiani, che le considerano “parcheggi per vecchi”. Ma quasi 5 milioni di connazionali sarebbero disposti ad andarci se trovassero una qualità migliore, intesa non solo come assistenza tempestiva ed efficace, ma anche come contesti in cui relazionarsi con l’esterno, in grado di valorizzare le potenzialità residue delle persone non autosufficienti. È quanto emerge da una ricerca dal Censis su un campione rappresentativo della popolazione.
« La residenzialità oggi si connota per limitata disponibilità di posti, costi piuttosto elevati e qualità alberghiera e assistenziale bassa — dice Francesco Maietta, responsabile del settore politiche sociali del Censis —. Finora ha funzionato il modello italiano di assistenza ai non autosufficienti accuditi in casa dai familiari o da badanti, ma anch’esso comincia a scricchiolare». Aggiunge Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap: «La disabilità e la non autosufficienza sono tra le cause di impoverimento delle famiglie. Le persone con disabilità spesso sono considerate solo un “costo”, eppure siamo tra i Paesi Ue con le percentuali più basse di spesa per la disabilità e politiche di inclusione».
Anche se in questi anni è cresciuto il sostegno alla domiciliarità, sottolinea il Censis, non sono stati attivati né supporti per assicurare un buona qualità della vita ai non autosufficienti (per es. strumenti tecnologici per compensare deficit), né per i familiari.
«Da anni chiediamo per i caregiver il riconoscimento di tutele sanitarie, previdenziali e assicurative, per l’accesso a diritti, come quello alla salute o al riposo — dice Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento dei familiari di disabili gravi e gravissimi —. In altri Paesi dell’Ue il caregiver può contare su un riconoscimento della sua funzione sociale. Per sollecitare l’Italia a fare altrettanto abbiamo presentato una petizione al Parlamento europeo, firmata da quasi 40 mila cittadini». Soluzioni per il futuro? Sintetizza Maietta: «Puntare sulla “longevità attiva”, che non è solo un modo di vivere la terza età propria di chi è in salute, ma significa sviluppare le potenzialità residue dei non autosufficienti. Il che obbliga a ripensare l’assistenza - passando dall’erogazione di prestazioni alla centralità della persona con bisogni e aspettative - e il luogo in cui vive, qualunque esso sia, per rispondere a queste esigenze». «Il welfare va adeguato, distinguendo gli interventi per la disabilità da quelli per la terza età, per dare risposte mirate — dice Roberto Messina, presidente di Federanziani – . Ci vorrebbe un nuovo Fondo per la non autosufficienza, con indennità o voucher che consentano alla persona di scegliere in un’ottica di integrazione e autonomia».