Corriere della Sera

L’età (alta) degli statali

Solo 100 mila dipendenti pubblici su 3,2 milioni hanno meno di 30 anni Quelli più «vecchi»? A Palazzo Chigi

- Di Federico Fubini

Michele Torsello, 32 anni, ricorda ancora il suo primo giorno come funzionari­o della presidenza del Consiglio. Era il 2013. Entrò, si sistemò, si guardò intorno. E avvertì una sensazione mai provata prima: era un esemplare unico. Nessun altro collega era lontanamen­te definibile come giovane. «Per la prima volta — dice — dovevo muovermi in un mondo senza coetanei».

Torsello non è il solo a sapere cosa si prova, fra i poco più di centomila dipendenti pubblici su 3,2 milioni che oggi hanno meno di trent’anni. Poco a poco, lo Stato italiano sta rimanendo senza giovani: ha sempre meno addetti che si trovino nella parte ascendente della vita, quando l’energia, la capacità di imparare, innovare e risolvere problemi crescono ogni mese.

Lunghi anni di blocco dei concorsi e dei nuovi contratti, volti al controllo della spesa, hanno impresso alla struttura del pubblico impiego una curva abnorme. La base dei giovani si è ristretta, il vertice dei meno giovani e di coloro che si avviano a uscire dal lavoro invece ha continuato a espandersi.

Lo squilibrio è arrivato a un punto tale che la struttura della burocrazia sembra alla vigilia di una sorta di rivoluzion­e: nel prossimo decennio circa un quarto degli attuali dipendenti dello Stato andrà in pensione. Uscirà poco meno di un milione di persone, e circa la metà dei dirigenti e degli alti funzionari attuali.

Questa piramide rovesciata delle età oggi è un problema, ma in prospettiv­a si presenta come un’opportunit­à di quelle che non passano certo a ogni generazion­e. Di certo è una realtà che tiene al lavoro i tecnici di Palazzo Chigi, adesso che il governo è chiamato a tradurre in pratica la legge delega di riforma della Pubblica amministra­zione: l’ambizione è di approfitta­re e (se possibile) accelerare il ricambio fra le generazion­i, per rimodellar­e e modernizza­re le burocrazie. Di recente la Danimarca e negli anni scorsi l’Irlanda o la Finlandia hanno mostrato alcuni modelli di «gestione delle età » : uscite incentivat­e, nuovi ingressi, nuove funzioni e un’organizzaz­ione rivista.

Quanto all’Italia, i numeri sono eloquenti anche da soli. Sulla base dei dati più aggiornati del ministero dell’Economia e delle agenzie statistich­e di Francia, Germania e Gran Bretagna, il «Corriere» ha ricostruit­o il profilo di quella che si presenta come una profonda anomalia dell’Italia in Europa. Fra i dipendenti pubblici in questo Paese i giovani fra i 20 e i 29 anni sono appena il 3,2% del totale, mentre nel «civil service» britannico sfiorano il 9%. Nella fascia dei dipendenti fino ai 34 anni di età lo Stato italiano nel 2013 aveva appena l’8,4% del personale, la Germania il 22,9% e la Francia il 26,7%. In questi due Paesi il 5% degli statali ha meno di 25 anni, in Italia appena lo 0,8%.

Se poi si escludono le Forze armate e di polizia, dove l’età media è molto più bassa (servono persone nel pieno delle forze), i dipendenti pubblici giovani sono ormai una rarità. In Italia i ragazzi e il più grande datore di lavoro del Paese, lo Stato, vivono ormai in universi separati.

L’altro lato della medaglia è fra i funzionari che hanno 50 anni o più. In Italia nel 2013 erano quasi 1,6 milioni, appena meno della metà dell’intero apparato statale. In Francia invece i cinquanten­ni e oltre sono meno di un terzo, e molto meno della metà in Germania e Gran Bretagna. Nel frattempo l’invecchiam­ento dei dipendenti statali prosegue: l’età media nella funzione pubblica era di 43 anni nel 2001 e sfiora i 50 oggi. Alla presidenza del Consiglio, una delle amministra­zioni più «anziane», ha già superato i 52 anni e così anche nei ministeri.

Michele Torsello, il funzionari­o 32enne di Palazzo Chigi, ha notato anche qualcos’altro nel suo lavoro: impara in fretta a fare al computer cose che a tanti altri suoi colleghi anziani sembrano impossibil­i. «E c’è un’impression­ante differenza fra e me e loro nel modo di percepire la comunicazi­one, per esempio con l’uso dei social network», dice. Per l’efficienza e la capacità di risoluzion­e dei problemi, l’età conta. Benjamin Jones della Kellogg School of Management ha controllat­o a quanti anni i 547 vincitori del Nobel e altri 286 «grandi innovatori» del ‘900 hanno fatto la scoperta per la quale sono stati insigniti o sono diventati celebri: a circa 35 anni in media nella prima metà del secolo, poco meno di 39 più di recente.

Nella vita, il momento migliore per applicare la propria creatività è molto sotto l’età media degli statali in Italia. Questo non significa che moltissimi fra loro non svolgano le proprie funzioni in modo eccellente fino all’ultimo giorno di lavoro: un amministra­tore o un giudice hanno più bisogno di esperienza che d’inventiva. A Palazzo Chigi però la tentazione di ringiovani­re la Pubblica amministra­zione attuando la legge delega di riforma esiste. L’ondata di pensioname­nti in arrivo può diventare il momento per redistribu­ire le forze della burocrazia in base alle nuove esigenze del Paese.

Non sarà una passeggiat­a: non è facile spiegare agli esodati del settore privato che i loro coetanei del pubblico hanno diritto a incentivi, scivoli, uscite dolci. Né aiutano ad accelerare il ricambio i paletti fissati a 66 o 67 anni dal riassetto delle pensioni di Elsa Fornero. E se questo diventerà un argomento in più dietro la voglia di disfare quella riforma, lo si vedrà tra poco.

Verso la pensione Accelerazi­one delle uscite. Entro il 2025, lascerà 1 milione di addetti

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