Marco e Marialucia: «Invitati al telefono Impariamo dai figli»
CITTÀ DEL VATICANO Com’è successo? «Mah, non lo sappiamo bene neanche noi. Quest’estate ci è arrivata una telefonata dalla Segreteria del Sinodo, immagini lo stupore, ci chiedevano la disponibilità a partecipare. L’abbiamo data, ovvio. Poi ci è arrivata la nomina del Papa...». Marialucia Zecchini e Marco Matassoni sono una delle diciassette coppie di sposi da tutto il mondo, due italiane, presenti da oggi al Sinodo come «uditori». Interverranno, «ma anzitutto ascolteremo». Chiaro che la scelta non sia stata casuale. Lei, laureata in biologia, ha deciso di lasciare il lavoro («precario, del resto») ed è impegnata tra l’altro come assistente spirituale in una casa di riposo per anziani; lui è ricercatore in un centro di tecnologia dell’informazione. Ma soprattutto la coppia, oltre a crescere i loro quattro figli — due maschi e due femmine —, da una decina di anni si occupa nella parrocchia a Rovereto di «accompagnare le famiglie che chiedono il battesimo».
E qui si capisce che cosa intendesse Francesco
quando diceva ai padri sinodali di «mettersi alla scuola» della famiglia, più che parlarne. Il Papa chiede alla Chiesa di accompagnare i «feriti», Marialucia annuisce: «In effetti, quando abbiamo cominciato prevalevano gli sposi, ai battesimi. Ora il rapporto è quasi rovesciato, sempre più vediamo arrivare coppie non sposate, nuove unioni, donne sole...». A Buenos Aires, Bergoglio sgridava quei parroci che rifiutavano il battesimo alle ragazze madri. «Sarà che viviamo in una comunità piccola, ma a me pare che l’accoglienza ci sia, senza problemi. Francesco parla della Chiesa come “casa aperta”, e la famiglia lo è naturalmente», spiega Marco: «Spesso sono i figli a insegnarci l’apertura, nelle forme più semplici: magari portando a casa per pranzo un compagno di classe».
Eppure le famiglie sono poco considerate, no? «Forse sì, se si guarda alla corrente dominante», considera Marialucia. «Ma vedo tante persone guardare la famiglia in maniera diversa. Al battesimo, di fronte al mistero della vita, anche i più lontani percepiscono che c’è qualcosa che viene dall’alto». L’evangelizzazione con l’esempio? «La famiglia può essere una luce nel buio. Noi abbiamo il desiderio di inchinarci davanti “alla terra sacra dell’altro”. Di stabilire relazioni a partire dalla domanda che ci viene fatta. Perché non siamo noi a cercare: sono loro che vengono a chiedere. L’importante è che chiunque, nel momento in cui pone la domanda, trovi la porta aperta».