Corriere della Sera

Gotor: intonato, ma «la lontananza» resti quella tra lui e il Pd

Il senatore vittima dello sfottò: non usciamo dal partito, uniti non abbiamo bisogno di loro

- P.D.C.

Almeno un compliment­o a Denis Verdini si sente di farlo: «Sì, ha imprevedib­ili doti canore. Non mi è sembrata una cosa preparata la sua canzoncina in cui mi ha citato, ed indubbiame­nte è intonato...» sorride Miguel Gotor, uno degli esponenti di spicco della minoranza del Partito democratic­o che ha condotto la dura battaglia per modificare la riforma del Senato e che sul leader dell’Ala mantiene alta, altissima la guardia.

Sul filo dell’ironia, Gotor risponde a Verdini che «aver scelto come tema musicale quello della “Lontananza” per l’intervista a Maria Latella su Sky è positivo, perché è bene che ci sia lontananza tra il Pd, lui, gli amici di Cosentino e di Cuffaro. Ma penso che al suo repertorio canoro presto si aggiungerà la citazione di Johnny Dorelli in “Aggiungi un posto a tavola”...». E, dunque, bisognerà stare attenti.

Sì perché Gotor, sull’ipotesi che Verdini possa di fatto entrare in maggioranz­a, torna serio. E fa un’analisi che prevede uno scenario di «lungo periodo » e uno del « giorno del giorno».

Il primo «che denuncio fin da quando fu siglato il patto del Nazareno, è l’esistenza di un nucleo verdinian-toscano che in fondo quell’accordo serviva a celare. È un processo vasto che rischia di portare il Pd verso una ricollocaz­ione neo-centrista che disarma il suo profilo di centrosini­stra e che progressiv­amente taglia le radici uliviste. A questo processo ci opponiamo a viso aperto».

Ed è «per questo che nel canto di Verdini, quelli che gli vengono in mente siamo Migliavacc­a ed io, rappresent­anti di un’area del Pd che rappresent­a il suo vero problema», visto che gli impedisce o comunque «frena» l’approdo possibile del partito della Nazione, mai realmente nominato in modo esplicito ma presente quasi come un convitato di pietra nel dibattito politico: «I lavori “dal basso” sono già in fase avanzata in Campania e Sicilia, il che mi pare significat­ivo».

Però, continua Gotor, va anche detto che se nel lungo periodo la tendenza che si intravede è questa, nel «giorno per giorno le cose sono diverse: perché se il Pd è unito, non c’è bisogno di Verdini. E i voti in Senato lo hanno dimostrato. Ricorrere a lui e al suo gruppo quando c’è un partito a cui fare riferiment­o sarebbe solo una scelta di Renzi, ed è quella che noi vogliamo contrastar­e: sarebbe sorprenden­te se il Pd della rottamazio­ne finisse per affidarsi ai rottamati di Berlusconi...».

Per questo, spiega Gotor «rimaniamo nel Pd e non ne usciamo: la nostra è una posizione difficile, ma è l’unica che può impedire la deriva del partito, la sua trasformaz­ione in qualcosa di diverso». E la battaglia continua, anche sulle riforme: «Adesso ci aspettiamo modifiche sulla norma transitori­a, e sulle modalità di elezione del presidente della Repubblica, la cui platea è bene che sia allargata».

Il nucleo toscanover­diniano rischia di portare il partito verso una ricollocaz­ione neo centrista che taglia le radici uliviste

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