Zip, scolli rotondi, vite scolpite Il ritorno degli anni Novanta
La rilettura di Celine. Il massimalismo di Kenzo e i fiori in rafia e neoprene di Ungaro
Era nell’aria che prima o poi qualcuno li avrebbe rispolverati in chiave «riabilitazione»: ed eccoli gli anni 90, qui a Parigi, rivisti e corretti secondo l’estetica contemporanea che preferisce pescare un po’ qua e un po’ là piuttosto che eseguire alla lettera le istruzioni della storia del costume. Chi l’avrebbe mai detto però di vederli citati sulla passerella di terra e pannelli colorati (del designer danese Fos) di Celine by Phoebe Philo? Eccoli nelle proporzioni di certe spalle rotonde, o in certe giacche minimali percorse da zip che al tempo fecero piazza pulita di bottoni e orpelli o nei cenni dei pantaloni over, dei sabot, degli abiti scivolati vagamente penitenziali, delle scollature rotonde.
Ci sono le sottovesti, naturalmente. Che sono state le alterative peccaminose all’ondata castigata e minimale di quegli anni. La stilista però aggiorna il tutto in volumi e materiali e un cotè romantico un po’ cow girl. La silhouette è solo apparentemente semplice, in realtà è ben scolpita, specie in vita. E sui tessuti il gioco è di confondere: è seta o pelle? O neoprene o raso? Cotone o jersey? «Un guardaroba — dice nel back stage Phoebe Philo, sempre più magra — immaginato per una donna forte che sa quello che vuole e desidera essere sempre a suo agio» ed effettivamente non c’è capo «ostile» alla vita di una donna oggi.
Piacciono gli effetti speciali del duo Humberto Leon e Carol Lim che insieme disegnano Kenzo. Generazione tecnologica la loro. Così ecco che nel grande hangar alla Villette, periferia di Parigi, irrompono in passerella pedane telecomandate con i gruppi delle modelle. Una volta arrivate al centro via con lo show mai così ricco e opulento ed energizzante. «Certamente massimalista, sì», dicono i due poco prima di cominciare. Una giovane donna viaggiatrice che non rinuncia a indossare i souvenir del suo tour che siano stampe da ogni parte del mondo, dunque etniche ma riviste al computer, dunque pixellate, per tuniche scivolate o corti prendisole; pezzi folk come bluse di pizzo ma tecnico, costumi in neoprene da onde sull’oceano, completi accesi (gonna corta e giacchetta dai rever sottili) e poi focus sugli accessori come gli stivali alla coscia che sono sandali e le francescane con la suoletta «massaggiante».
Bella collezione, allegra e fresca, quella di Ungaro by Fausto Puglisi. Racconta lo stilista di essersi documentato sui primi lavori di monsieur a cavallo fra gli anni 60 e 70 e di essersi invaghito di alcuni pizzi più primitivi. Trovata l’azienda dove erano stati fatti, in Svizzera, eccoli ora rivivere ma in raffia e neoprene per fiori che tempestano l’intera collezione (bluse, giacchette, mantelle, gonne a portafoglio) nei colori di stagione: il verde acqua, il rosa, il bianco e nero. Viaggiatrice anche la ragazza di Ungaro: da Parigi a Londra (gli stivali lunghi, le mini, i tocchi d’argento, i blazer sartoriali) sino in Argentina con i pantaloni da ranchero e camiciole chiuse dal fiocchetto. Ma perché no? E se da Nina Ricci l’elogio all’abito, inteso come pezzo unico intramontabile, di Guillaume Henry, è un’ottima lezione, da Comme des Garcons diventa un meraviglioso trattato di sperimentazione e arte sul vestito, esagerato, monumentale, intorno alle figure delle streghe (buone) blu.
Contaminazioni Il «ripescaggio» del decennio era nell’aria, aggiornato all’estetica contemporanea