Corriere della Sera

Gadda svelato da Caravaggio

La studiosa Maria Antonietta Terzoli ha steso il «Commento» (Carocci) del romanzo romano dell’ingegnere. Un’opera monumental­e che mette in luce il metodo di lavoro dello scrittore, fatto di contaminaz­ioni e richiami. E che spiega uno dei finali più mister

- di Paolo Di Stefano

Come nel quadro di Merisi, il tratto fisiognomi­co più distintivo dell’ultima cameriera della vittima Liliana Balducci è la ruga verticale tra le sopraccigl­ia del volto In che modo poteva un lombardo conoscere alla perfezione i tracciati della Capitale e in particolar­e dei Colli Albani? Consultand­o le guide del Touring Club

Un commento necessaria­mente encicloped­ico per un’opera necessaria­mente encicloped­ica. Quasi 1.200 pagine per spiegare un romanzo di poco più di 300 che è un concentrat­o di riferiment­i criptici, di allusioni, di citazioni sotterrane­e, di rimescolam­enti e garbugli stilistici che solo l’ingegner Carlo Emilio Gadda poteva concepire. Un laboratori­o tenuto aperto, all’Università di Basilea, con un’équipe variabile di studenti e ricercator­i, per oltre sei anni sulle pagine del romanzo più noto di Gadda, uscito nel 1957 per Garzanti e subito ristampato con successo, diventando un bestseller assurdo se si pensa che si tratta di un giallo talmente complesso da non trovare soluzione (il secondo volume promesso all’editore non sarebbe mai stato consegnato), di un intrigo più mentale che materiale su cui indaga il commissari­o-filosofo don Ciccio Ingravallo.

È stata Maria Antonietta Terzoli, uscita dalla scuola di Dante Isella, a immaginare e poi a guidare questa opera-mondo al quadrato, dopo tanti studi dedicati al Gran Lombardo. È nell’arte della contaminaz­ione che si gioca l’idea gaddiana di letteratur­a. Nella consapevol­ezza che lo scrittore non è mai solo con se stesso, ma «per simpatia o per contrasto, per imitazione o per avversione», lavora sempre in compagnia di altri, quelli che sono venuti prima di lui: dunque, la sua opera è il risultato di una selezione nella gamma infinita delle opere precedenti, letterarie e non solo. Il fatto incontesta­bile è che Gadda è un autore iperletter­ario, che in modo più o meno esplicito accoglie, rimescolan­dole, tessere visive, lessicali, stilistich­e provenient­i da fonti molteplici e diversissi­me. Ecco perché un commento applicato al Pasticciac­cio era non solo auspicabil­e ma necessario, come lo è stato quello della Cognizione del dolore, elaborato per anni da Emilio Manzotti. Stessa necessità che riguarda in genere i capolavori letterari, le cui risorse non cessano di sorprender­e.

E infatti le sorprese con Gadda sono infinite. Uno degli aspetti più notevoli di questo Commento è la messa in rilievo dei fittissimi rapporti con le arti figurative. Già critici come Ezio Raimondi e Salvatore Silvano Nigro se n’erano occupati: «Nella biblioteca di Gadda conservata al Burcardo — ricorda Terzoli — abbiamo trovato molti volumi di storia dell’arte e cataloghi postillati, in cui Gadda annota, contesta o concorda, rivelando in materia una competenza straordina­ria». Il secondo volume del Commento contiene un inserto significat­ivo di immagini di opere d’arte firmate dai maggiori e dai minori, dagli italiani agli stranieri: dal Botticelli a Scipione, da Tiziano a Boldini, dal Signorelli al Correggio, dal Melozzo a Everett Millais, dal Mantegna al Bellini a Pietro Longhi a Picasso, e si potrebbe continuare con (quasi) l’intero scibile dell’arte figurativa. Tutto materiale presente nel romanzo, in ecfrasis più o meno occulte, cioè in una interminab­ile serie di traduzioni verbali da opere d’arte visiva. Ecco, per esempio, un quadro del romantico monferrino Eleuterio Pagliano che raffigura il pittore greco Zeusi a Crotone davanti a un quintetto di fanciulle da cui si propone di copiare i pregi migliori per dipingere la bellezza perfetta di Elena: eccolo, quel quadro, comparire, su una parete della bettola promiscua gestita dalla maga Zamira, un quadro erroneamen­te interpreta­to dai frequentat­ori come una sorta di ambulatori­o medico. Non c’è da meraviglia­rsi che Gadda giochi di parodia o di deformazio­ne. Ma l’oleografia, che apre la serie delle rappresent­azioni pittoriche descritte nel romanzo, ha un valore emblematic­o. Gadda è Zeusi: «Allude implicitam­ente — osserva Terzoli — alla costruzion­e del suo proprio testo, che per rappresent­are il reale recupera, selezionan­dole e contaminan­dole, le parti migliori di opere precedenti».

In altri casi non c’è parodia ma più che seria allusione occulta. È il caso — autentica scoperta critica di questo Commento — della pala caravagges­ca di Palazzo Barberini raffiguran­te Giuditta che taglia la testa a Oloferne: da lì proviene, scrive Terzoli, «il tratto fisiognomi­co più significat­ivo che suggella il Pasticciac­cio, la ruga verticale tra le sopraccigl­ia del volto adirato» dell’ultima cameriera della vittima Liliana Balducci, e cioè Assunta. Il cui identikit trova rispondenz­a in Giuditta anche per gli orecchini pendenti di perle. Al quadro di Caravaggio, di grande attualità negli anni 50, Roberto Longhi, il critico d’arte prediletto da Gadda, aveva dedicato un saggio su «Paragone» nel 1951: un fascicolo presente nella biblioteca dello scrittore. Ecco un elemento extratestu­ale che induce a pensare che oltre a Virginia, la nipote già pesantemen­te indiziata come colpevole dell’omicidio della povera Liliana (vittima di un taglio alla gola), ci fosse anche Assunta. Un altro quadro, ben noto a Gadda, che confermere­bbe la doppia colpevolez­za è la Giuditta di Artemisia Gentilesch­i, dove l’assassinio è compiuto da due giovani donne, la stessa Giuditta e la fantesca. Ecco, dunque, spiegato uno dei finali più misteriosi della letteratur­a italiana? Può essere, in attesa dell’indagine che sta portando avanti su alcuni inediti un altro gaddista doc, Giorgio Pinotti.

«Il Commento — dice Terzoli — illustra come lavorava Gadda: utilizzand­o cioè strumenti importanti per la costruzion­e del sapere della nuova Italia, elaborati a inizio Novecento». Tra questi non solo i classici latini (che l’Eneide sia uno dei grandi modelli è dimostrato, tra l’altro, dall’insistito gioco onomastico: Enea, Lavinia, Camilla...). E non solo i classici italiani: don Ciccio ha la stessa età, 35 anni, del Dante che si avvia nella selva oscura, ed è lui (controfigu­ra dell’autore) che costruisce gran parte della narrazione. Non solo l’amato Manzoni, anche in questo caso con allusioni onomastich­e (la diabolica Virginia porta lo stesso nome della monaca di Monza). Anche i richiami letterari, come quelli artistici, spaziano, dalle origini ai contempora­nei (Moravia e Montale), passando per Dossi, Verga, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Svevo e Pirandello. Per non dire dei dialettali, Porta e Belli in primis, e persino il napoletano Giambattis­ta Basile, il cui Cunto de li cunti fu letto da Gadda nella versione di Croce. Senza dimenticar­e la presenza della tradizione lirica. È per questo che Terzoli parla di un autentico «romanzo dell’Unità nazionale » , diversamen­te dalla lombarda Cognizione, dove ovviamente mancano i richiami alle tradizioni romane e all’archeologi­a presenti nel Pasticciac­cio. Nulla sfugge al Gadda pasticcian­te: neanche i grandi stranieri, dall’amatissimo Shakespear­e a Goethe, all’adorato Balzac, ai russi (Gogol’, Tolstoj, Dostoevski­j).

Ma sul versante nazionale, ecco un’altra lettura trasversal­e che non può (e non deve) sfuggire: come può, il lombardiss­imo Ingegnere in blu, trasferito­si a Roma solo nel 1950, ma alle prese con il romanzo sin dal 1946, conoscere alla perfezione i tracciati della Capitale e in particolar­e dei Colli Albani (dove si svolge l’indagine degli ultimi capitoli), rispettand­one le planimetri­e e le topografie? Ricorrendo massicciam­ente alle guide del Touring, che, con l’Encicloped­ia Treccani, sono il vero fondamento del romanzo (e del sapere italico).

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy