Corriere della Sera

UN LAMPO D’INDIPENDEN­ZA NEL GIORNALISM­O DI SALÒ

- Maria Cassani

A proposito della sua risposta sulla stampa italiana durante il fascismo, possibile che nessun direttore abbia mai dato prova di indipenden­za dal regime?

ICara Signora, l caso più clamoroso fu quello di Concetto Pettinato a cui il regime di Salò aveva affidato la direzione de La Stampa. Era nato a Catania nel 1886, era stato inviato speciale e corrispond­ente dall’estero per parecchi giornali ed era dagli anni Venti uno scrittore di «provata fede», come usava dire nel linguaggio dell’Italia fascista. Ma era anche orgoglioso, testardo e poco incline a subire passivamen­te tutte le istruzioni provenient­i dai servizi di propaganda. Non gli piaceva, in particolar­e, continuare a dipingere di rosa una situazione militare che, per la Germania e il suo alleato italiano, stava peggiorand­o di giorno in giorno. Nel maggio del 1944, gli Alleati avevano sfondato il Fronte a Cassino. Il 4 giugno erano entrati a Roma. Il 6 giugno erano sbarcati in Normandia. Mentre in Russia, nel frattempo, l’Armata Rossa combatteva in Ucraina e riconquist­ava la Crimea. Era questo il clima in cui Pettinato decise di suonare il campanello d’allarme. Il 21 giugno 1944 apparve sulla prima pagina de La Stampa un editoriale intitolato «Se ci sei batti un colpo».

Il destinatar­io era Mussolini. Senza mai pronunciar­e esplicitam­ente il suo nome, Pettinato gli rimprovera­va il silenzio, con cui contemplav­a gli eventi dalla sua villa sul Garda, e la mancanza di qualsiasi iniziativa capace di restituire dignità ed efficacia al ruolo dell’Italia nell’alleanza. Non è chiaro a quali mezzi e strategie, secondo Pettinato, l’Italia sarebbe dovuta ricorrere per rovesciare una situazione ormai catastrofi­ca. Ma l’editoriale, insieme a un secondo articolo apparso su La Stampa in dicembre, convinse Mussolini a uscire dal silenzio. Il 16 dicembre pronunciò un discorso al Teatro Lirico di Milano in cui parlò di socializza­zione e difesa a oltranza, con qualche cenno alla necessità della riconcilia­zione nazionale. Il discorso dimostrò che l’oratoria era l’unica arma di cui disponesse: troppo poco per cambiare il corso della storia.

Pettinato restò fascista. Fu condannato a 14 anni di prigione da un tribunale torinese nel 1946, ma uscì dal carcere nello stesso anno grazie all’amnistia di Togliatti. Si iscrisse al Movimento sociale italiano, ma ne uscì più tardi per creare una forza politica più rivoluzion­aria. Continuò a scrivere libri per gli editori della galassia neofascist­a e morì nel 1975.

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