Corriere della Sera

Marino e l’inchiesta sulle sue spese «Restituisc­o tutto»

La Procura indaga per peculato, lui pensa alle dimissioni. L’ambasciata del Vietnam smentisce un’altra cena Poi la mossa del sindaco: «Pago di tasca mia tutte le spese di rappresent­anza e riconsegno la carta di credito»

- Meli, Menicucci

«Basta polemiche, restituisc­o 20 mila euro spesi con la carta di credito, che da oggi non avrò più». L’annuncio di Ignazio Marino è arrivato alla fine di una giornata lunghissim­a, durante la quale il sindaco di Roma è arrivato (mai come questa volta) a un passo dalle dimissioni, dopo che dalla Procura era filtrata la notizia che l’ipotesi di reato per le «cene istituzion­ali» sarebbe il peculato (i magistrati acquisiran­no tutti gli atti, ascolteran­no testimonia­nze, verificher­anno perché il plafond della carta di credito del sindaco è stato portato da 10 mila a 50 mila euro).

E anche dopo l’affondo dei Cinque Stelle (che, sia in conferenza stampa che sul blog di Grillo, hanno chiesto «le dimissioni»). Il Pd romano è a questo punto tentato dalle urne, ma teme di consegnare il Campidogli­o al Movimento 5 Stelle.

ROMA Alla fine di una giornata lunghissim­a, durante la quale Ignazio Marino è arrivato (mai come questa volta) a un passo dalle dimissioni, dopo che dalla Procura filtra che l’ipotesi di reato per le «cene istituzion­ali» sarebbe il peculato (i magistrati acquisiran­no tutti gli atti, ascolteran­no testimonia­nze, verificher­anno perché il plafond della carta di credito del sindaco è stato portato da 10 mila a 50 mila euro), dopo l’affondo dei Cinque Stelle (che, sia in conferenza stampa che sul blog di Beppe Grillo, chiedono «le dimissioni») e una serie di colloqui con Matteo Orfini del Pd che cerca di arginare lo scandalo, il sindaco spiazza tutti: «Basta polemiche, restituisc­o 20 mila euro spesi con la carta di credito, che da oggi non avrò più».

Un tentativo di salvarsi in extremis, per evitare l’accusa di peculato da parte dei magistrati, deciso quando ormai Marino era all’angolo, chiuso nel vicolo cieco nel quale si era infilato, a un passo dall’addio.

Quella di Marino, così, diventa al tempo stesso un’implicita ammissione (dall’iniziale «querelo tutti, se questa campagna continua» al «ridò i soldi») e un modo per «mettere a tacere le polemiche». Ma anche per evitare che quello delle «cene istituzion­ali» diventi un vaso di Pandora dal quale può saltar fuori di tutto. Perché Marino, in fondo, non spiega nulla. Non dice con chi era a cena e reagisce come fece in passato. Sia a Pittsburgh (gli contestaro­no 8 mila dollari di rimborsi e quando Marino si dimise gli trattenner­o alcune indennità di fine rapporto), sia per le multe della Panda rossa. Marino dice che restituirà «anche i 3.540 euro investiti nella cena col mecenate Usmanov» e dice di voler guardare avanti «all’anno giubilare che si chiude a novembre 2016». Sembra una deadline. Anche se, già ieri sera, pare che il sindaco sia stato sull’orlo di mollare, salvo essere «trattenuto» da un paio di assessori a lui vicini (Alessandra Cattoi e Alfonso Sabella). E che con Orfini si sia sfogato: «Mi avete lasciato solo. Se mi cacciate, ve ne pentirete». Vicenda chiusa? Non proprio. Dopo l’ennesima smentita di Sant’Egidio, ne arriva una nuova: l’Ambasciata del Vietnam nega la cena del 6 settembre 2013 con Marino. «Ci fu un incontro in Campidogli­o e basta», dicono in ambasciata. E i casi «sospetti», così, salgono a sette.

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