Governo iracheno soddisfatto «La nostra guerra è la vostra Grazie, ora vediamo i dettagli»
I mezzi Servono soprattutto aerei per attaccare le unità sul terreno e raccogliere informazioni Se arriveranno ancora armi e mezzi dall’Italia, saranno i comandi a Bagdad a decidere luogo e modalità d’impiego
ABU DHABI «Ogni aiuto militare nella nostra guerra contro i terroristi di Isis è più che benvenuto. Dunque molte grazie all’Italia, se intende impegnarsi con noi e mandare i suoi aerei a combattere in Iraq. La nostra guerra è anche la vostra. Se combattiamo assieme avremo maggiori probabilità di successo. Ora si tratta di definire le dimensioni dell’operazione: quanti aerei è in grado di schierare l’Italia, con quali tipi di armi, con quali regole d’ingaggio? Dovranno parlarne ai massimi livelli tra i due governi e tra i responsabili dei rispettivi eserciti». Raggiunto per telefono a Bagdad, il portavoce del ministero della Difesa iracheno, generale Tahseen al Khafaji, commenta le notizie che arrivano dall’Italia.
Generale, come vede la possibilità del dispiegamento militare che potrebbe arrivare da Roma?
«Apprezziamo molto l’aiuto che giunge dalla comunità internazionale. Lo sanno tutti che l’Iraq costituisce la prima linea contro la barbarie dei terroristi di Isis. Vorrei sottolineare che al momento abbiamo un ottimo coordinamento in particolare con i comandi americani e inglesi. I loro raid sono molto importanti. Negli ultimi giorni hanno permesso al nostro esercito di riprendere gran parte della città di Ramadi e delle zone circostanti. Alla base del loro impegno c’è l’alto grado di coordinamento raggiunto con i nostri comandi e l’intelligence. Senza intelligence sul terreno diventa praticamente impossibile operare».
Cosa chiedereste in particolare all’Italia?
«Con l’esercito italiano abbiamo già un rapporto duraturo. C’è anche una missione di militari italiani che da molto tempo opera da noi per cooperare all’addestramento delle nostre truppe. E siamo loro molto grati. Servono in particolare aerei da combattimento in grado di attaccare unità che operano sul terreno e raccogliere informazioni. Ma, lo ripeto, i dettagli su mezzi e armi da inviare vanno concordati ai massimi livelli e coordinati con l’intera coalizione».
C’è anche il precedente degli aiuti militari italiani ai curdi nel Nord, iniziato dopo le vittorie dell’Isis l’estate 2014. Come lo giudica?
«È stato un’ottima cosa. Va tenuto in mente che i peshmerga curdi prima di tutto sono iracheni, sono parte integrante del nostro esercito. Tutti assieme stiamo combattendo lo stesso nemico. E il governo centrale a Bagdad distribuisce gli aiuti che arrivano dall’estero. Così è stato sino a ora e così continuerà. Se dovessero arrivare ancora armi, munizioni e adesso aerei dall’Italia, saranno i comandi dell’esercito nazionale nella capitale, di cui i curdi sono una componente, a decidere il luogo e le modalità del loro impiego».
Come spiega però i fallimenti dell’addestramento Nato in Iraq e in Afghanistan? A Mosul l’anno scorso l’esercito iracheno si è sbandato in pochi giorni. A Kunduz una settimana fa pare stesse accadendo qualcosa di simile. Cosa non ha funzionato e come si può correggere?
«Ci sono tanti motivi per i fallimenti e quello di Mosul ha molte ragioni. Ma adesso siamo in una fase nuova. Ci siamo concentrati su programmi diversi di addestramento. Il coordinamento con i nostri alleati è super. Speriamo che gli italiani possano rafforzare la missione degli istruttori militari. Il sostegno che arriva da tutto il mondo nella lotta contro Isis è un ottimo segnale».