Corriere della Sera

Senato, il soccorso di Forza Italia spacca il fronte dell’opposizion­e

Decisivi 30 voti azzurri contro un emendament­o della sinistra. Ira leghista Accordo nel Pd sull’ultimo nodo. M5S: basta, incontrere­mo Mattarella

- Monica Guerzoni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ROMA La caravella delle opposizion­i unite ha veleggiato un giorno appena, per poi infrangers­i contro gli scogli del patto del Nazareno. E adesso ai leghisti, ai cinquestel­le, ai senatori di Sel e ai conservato­ri di Fitto non resta che prendersel­a con Forza Italia, per aver fatto da « stampella » al governo spaccando il fronte degli antirenzia­ni. Il patto tra il premier e Silvio Berlusconi è risorto? E davvero Forza Italia si è «verdinizza­ta»? Questo il tema che ha infiammato ieri gli animi dei nuovi «padri costituent­i», impegnati a licenziare gli ultimi articoli del ddl Boschi. Berlusconi annuncia l’ennesimo ritorno in campo e denuncia la «grave emergenza democratic­a», ma per Matteo Renzi la vittoria è un passo. E chissà se è vero che l’ordine di chiudere in fretta il fronte del Senato sia partito ieri mattina da Palazzo Chigi, dopo una riunione tra il ministro Maria Elena Boschi e la minoranza finita male e dopo che, sul pallottoli­ere del Senato, i numeri a voto segreto erano scesi fino a quota 143.

L’accordo con la minoranza del Pd, che dopo tanto tuonare ha ritirato gli emendament­i, ha disinnesca­to le ultime mine: il quorum per eleggere il capo dello Stato e le disposizio­ni transitori­e all’articolo 39. Rispetto alle rivendicaz­ioni iniziali, i ribelli hanno ottenuto ben poco. Eppure Miguel Gotor si dice «soddisfatt­o», convinto di aver risolto il rebus bersaniano del «combinato disposto» tra Italicum e nuova Costituzio­ne: «Adesso chi vince non potrà fare l’asso pigliatutt­o».

In realtà la minoranza, che puntava ad allargare la platea per eleggere il capo dello Stato, ha ottenuto solo di ripristina­re il testo della Camera, dove è scritto che dopo il quarto scrutinio è sufficient­e la maggioranz­a dei tre quinti e dopo l’ottavo la maggioranz­a assoluta. Quanto all’articolo 39, il governo ha promesso agli ex dissidenti un emendament­o che obbligherà i consigli regionali a ratificare la nomina dei senatori scelti dai cittadini. L’altro nodo erano i tempi della legge elettorale nazionale e il governo si è impegnato a scriverla in questa legislatur­a, anziché rinviarla alle calende greche.

Per le opposizion­i è la débâcle. Salta la protesta della resistenza passiva, svanisce l’idea di una conferenza stampa unitaria e sfuma anche la lettera-appello corale a Sergio Mattarella, partita verso il Colle dal solo indirizzo di FI. I cinquestel­le sono furibondi e hanno chiesto un incontro al Quirinale per denunciare che «Grasso non è super partes» e che la democrazia è a rischio.

Il partito di Berlusconi ha fatto arrabbiare tutti. «Una volta che la maggioranz­a era in difficoltà, le avete fatto da stampella» accusa il leghista Centinaio, annunciand­o l’abbandono dell’Aula («state uccidendo la democrazia») e gridando al «patto Renzi-Berlusconi-Verdini-Tosi». E se Calderoli può scherzare sul «Nazareno 3, la resurrezio­ne di Lazzaro» è per via di un emendament­o all’articolo 17.

Nerina Dirindin, della minoranza pd, chiedeva di specificar­e se la Camera dei deputati debba deliberare lo stato di guerra a maggioranz­a assoluta dei componenti, o dei votanti. La sinistra dem si è spaccata, ma il dato politico è che i 30 senatori azzurri hanno votato con il governo, rinunciand­o a mandarlo sotto. Una scelta che il capogruppo di FI Paolo Romani rivendica senza tanti imbarazzi: «Mi interessa la Costituzio­ne, non i tatticismi».

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In Aula Il senatore Franco Carraro (FI) ieri a Palazzo Madama col sottosegre­tario Luca Lotti (Jpeg)

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