Corriere della Sera

La legge elettorale e quel segnale di Berlusconi a Renzi

- di Francesco Verderami

ROMA Come mai Forza Italia corre in soccorso di Renzi al Senato, nel giorno in cui il gruppo del Pd si divide sulla riforma costituzio­nale? Perché gli azzurri rompono il fronte delle opposizion­i, che si apprestava­no a scrivere congiuntam­ente una lettera di protesta al capo dello Stato? Quale ragione ha spinto persino i fedelissim­i berlusconi­ani ad aprire una crepa profonda nei rapporti con la Lega, che ora accusa l’alleato di essere una «stampella» del governo? Un conto è il caos — che continua a regnare nel centrodest­ra — altra cosa è la manifesta incapacità politica, che andrebbe oltre l’autolesion­ismo.

Infatti c’è un motivo se Forza Italia per una volta si schiera con la maggioranz­a. Le ragioni di questa mossa vanno ricercate in una frase pronunciat­a da Berlusconi, che dopo aver lanciato l’allarme sulla « grave emergenza democratic­a» in cui verserebbe il Paese, si lascia sfuggire — non proprio casualment­e — una previsione sulle sorti dell’Italicum: «Sono abbastanza fiducioso che verrà cambiato». La legge elettorale val bene un voto sulle riforme costituzio­nali, specie se la modifica del sistema di voto reintroduc­esse il premio di maggioranz­a e allontanas­se l’incubo della lista unica, che finirebbe per assoggetta­re sotto Salvini ciò che resta del vecchio impero berlusconi­ano.

«Il tentativo c’è», dice il capogruppo azzurro Romani, riconoscen­do quel che era chiaro da tempo, e cioè che una trattativa per tornare all’Italicum 1.0 è in atto, che quanto Renzi ha fatto capire prima ad Alfano e poi a Verdini è stato raccolto e compreso anche da Berlusconi. E Romani è l’ufficiale di collegamen­to con la maggioranz­a per una operazione che sarà pure lunga e complicata ma che in fondo non è mai stata segreta. Così ha un senso l’atteggiame­nto tenuto in queste settimane dal gruppo forzista al Senato, perché non aveva senso accusare Renzi di voler procedere a ritmi forzati pur di far approvare la riforma, e non fare nulla per ostacolarn­e il disegno. E ha un senso anche il modo in cui, proprio Romani, continua a rimandare l’annuncio sull’atteggiame­nto che terrà Forza Italia in Aula nel voto finale.

Questa porta aperta è un segnale che vale più della scelta di votare contro l’emendament­o presentato da un pezzo della sinistra sulle procedure per la deliberazi­one dello stato di guerra. E allora, sarà anche vero ciò che sostiene il capogruppo azzurro, cioè che il voto si è basato su una valutazion­e costituzio­nale della proposta e che «non c’è stato tatticismo». Ma è evidente l’attesa di una risposta. E nell’attesa (quasi) tutto il resto è stato «tatticismo», compreso il posizionam­ento di Forza Italia in questi giorni, la sua adesione al fronte di opposizion­e con la Lega e persino con i Cinquestel­le, che aveva finito per fagocitarl­a nel gioco d’Aula e l’aveva oscurata mediaticam­ente.

D’un tratto tutto si fa più chiaro e ognuno torna al proprio posto, anche nella dialettica politica: perché i grillini — e ancor più animosamen­te i leghisti — accusano i forzisti di esser tornati al «patto del Nazareno» semmai se ne fossero distaccati. È un attacco che farà pur presa nell’opinione pubblica, ma che non risponde più alla realtà delle cose: rispetto al passato, Renzi è in una posizione di forza, può disporre secondo la propria utilità, senza più essere obbligato a concedere.

E il leader del Pd — attorno a cui ruota ormai l’intero sistema politico — sta usando a piacimento il bastone e la carota, con gli alleati di opposizion­e e con gli alleati di maggioranz­a. Dopo aver chiuso i conti con la minoranza dem, sembra voler mettere i centristi spalle al muro con la legge sulle unioni civili. Perché se davvero il provvedime­nto venisse incardinat­o, sarebbe disatteso il patto stipulato con Alfano — che prevedeva di posticipar­e la cronaca di una lite annunciata a gennaio — e si appicchere­bbe il fuoco nel campo alleato, dove sarebbe inevitabil­e lo showdown.

Il leader di Ncd aveva messo in conto il «chiariment­o» nel suo gruppo dopo l’approvazio­ne della riforma costituzio­nale, ma la manovra anticipata di Renzi farebbe saltare l’opera di ricomposiz­ione della spaccatura interna con il coordinato­re del partito Quagliarie­llo. A meno che non abbia buon fine la mediazione subito avviata dal capogruppo centrista Schifani con il ministro Boschi nell’Aula di palazzo Madama, tra un voto e l’altro sulle riforme e una serie di telefonate con Renzi. Si vedrà se il nuovo testo sulle unioni civili (appena presentato) verrà ancora una volta sostituito, o se il suo incardinam­ento sarà ancora una volta posticipat­o.

In caso contrario, i centristi potrebbero votare contro le riforme o issare le barricate sulla legge di Stabilità per «vendicarsi»? Impossibil­e. E comunque i voti al Senato per un provvedime­nto di iniziativa parlamenta­re — dunque formalment­e non del governo — sarebbero garantiti da Verdini: «Le unioni civili? Le voterei subito»...

Il premio Il leader fiducioso che possa essere reintrodot­to il premio di coalizione

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy