Corriere della Sera

«Il Principe» prima del «Principe»

In alcune lettere del periodo 1501-1502 i temi dell’opera più famosa di Machiavell­i (1513)

- Di Dino Messina

Tra il settembre 1501 e l’estate dell’anno successivo sembra che il segretario della Seconda cancelleri­a fiorentina, Niccolò Machiavell­i (1469-1527), incaricato di seguire gli affari interni, si fosse preso una pausa di riflession­e. Invece delle decine di lettere quotidiane, cui lo costringev­ano la carica ricoperta oltre che la passione per le cose dello Stato, si registrano in quel periodo pochissimi documenti autografi. A capire che cosa facesse messer Niccolò in quei pigri mesi fiorentini, dopo dieci anni di ricerca, sono riusciti due studiosi, Emanuele Cutinelli-Rendina, ordinario di italianist­ica a Strasburgo, e Denis Fachard, professore emerito dell’Università della Lorena. La soluzione di questo piccolo mistero biografico aggiunge un tassello fondamenta­le anche all’ormai secolare dibattito sulla genesi del Principe.

Machiavell­i, come sostenne Federico Chabod nella sua geniale tesi di laurea del 1924, scrisse di getto il suo capolavoro tra il luglio e il dicembre 1513, quando era ormai stato estromesso da ogni incarico? Oppure, come sostenne Mario Martelli, curatore dell’edizione nazionale del Principe, andò aggiungend­o alla prima stesura vari brani, quasi seguendo il filo degli avveniment­i storici? O ancora, come ha ipotizzato Gennaro Sasso, a un corpo centrale, sicurament­e compiuto nel 1513, il segretario fiorentino aggiunse un secondo nucleo nel 1514?

Cutinelli-Rendina e Fachard credono che ancora oggi l’intuizione di Chabod resti la più valida, ma a questa tesi aggiungono un elemento che retrodata di una decina d’anni la genesi del testo considerat­o il libro fondante della moderna scienza politica. In un volume edito da Aragno, Legazione alla corte di Francia 31 agosto 1501-10 luglio 1502, i due italianist­i raccolgono le lettere mandate alla Prima cancelleri­a della Repubblica fiorentina dagli ambasciato­ri Luca d’Antonio degli Albizzi e Francesco Soderini, che avevano il compito di convincere il re Luigi XII a intervenir­e in favore di Firenze minacciata dalle mire del bellicoso papa Borgia, Alessandro VI, e di suo figlio Cesare.

Albizzi e il cardinal Soderini, fratello del Pier Soderini che di lì a poco sarebbe stato eletto gonfalonie­re della città, tornarono a casa a mani vuote, per le esose richieste del monarca francese. La vera novità si trova però nelle risposte agli ambasciato­ri inviate dalla Prima cancelleri­a, una sorta di ministero degli Esteri, di cui era titolare Marcello Virgilio Adriani, un letterato buono per tutte le stagioni.

Non poche di queste risposte, di cui l’archivio di Stato di Firenze custodisce la copia compilata da un anonimo amanuense, con ogni probabilit­à non furono dettate dal titolare della Prima cancelleri­a, ma da Niccolò Machiavell­i, chiamato al delicato incarico anche perché era stato inviato alla corte di Luigi XII già nel 1500. Ma l’ipotesi di ricerca (o la scoperta) più interessan­te e in qualche modo rivoluzion­aria è che in alcune di quelle lettere partite dalla Prima cancelleri­a sono anticipati temi che saranno sviluppati nel Principe.

Cutinelli ci spiega che il parallelo è evidente soprattutt­o per due capitoli del Principe: il III, dove è contenuto uno sferzante giudizio sul fallimento della politica francese in Italia e dove vengono usati, come già nella lettera diplomatic­a di undici anni prima, i termini «rimedio», che rimanda a una concezione organicist­ica e fisiologic­a della politica, e «arbitro» (il re di Francia come arbitro delle cose d’Italia). Nelle risposte della Prima cancelleri­a c’è poi, continua Cutinelli, «un profilo strepitoso della smisurata ambizione monarchica di papa Alessandro Borgia e di suo figlio Cesare, il Valentino, un tema che ritroviamo nel capitolo VII».

Non bastassero i contenuti, ad avvalorare la tesi dei due studiosi c’è in alcune missive quell’elemento inconfondi­bile che è lo stile di Machiavell­i, definito da Cutinelli-Rendina «una scrittura dell’urgenza». Un stile nervoso, pensieri e teorie, ma anche rimandi ai fatti. Uno stile veloce, moderno, quasi giornalist­ico, a volte discontinu­o, del tutto lontano dai modi paludati del letterato classico. Ai contenuti, al lessico e allo stile si aggiunge infine la prova del nove: alcune delle missive vergate dall’ignoto amanuense hanno delle correzioni di pugno dello stesso messer Niccolò, con quella grafia quasi indecifrab­ile che aveva scoraggiat­o per secoli gli studiosi dal raccoglier­e i suoi scritti d’ufficio.

Una ricerca come quella condotta da Denis Fachard, che si è maggiormen­te dedicato alla parte paleografi­ca, ed Emanuele Cutinelli-Rendina, che ha curato di più gli aspetti storici, anche se nel suo insieme il lavoro è stato compiuto a quattro mani, è stata peraltro resa possibile dal reperiment­o dei cifrari per decrittare alcune delle lettere scritte in codice. Raramente le delicate missive erano redatte in chiaro: alcune alludevano a personaggi di fantasia o si presentava­no come un tessuto di cifre e simboli incomprens­ibili, sicché dal XVIII secolo, da quando cioè si ha notizia degli scritti d’ufficio di Machiavell­i, molti studiosi sono stati scoraggiat­i dalle difficoltà tecniche e si è dovuto aspettare il secondo decennio del Duemila per avanzare una nuova ipotesi scientific­amente fondata sulla genesi del Principe.

O per avere altre notizie di estremo interesse, come la richiesta a Michelange­lo, partita dalla Francia, per la realizzazi­one di una copia del David di Donatello. Un’opera che fu in effetti realizzata dal Buonarroti, ma poi andò perduta. Queste lettere ci parlano dunque anche del collezioni­smo francese delle opere d’arte italiane, che cominciò ben prima del regno di Francesco I. Ma questa è un’altra storia.

Oltre agli indizi stilistici e di contenuto ci sono le correzioni di pugno di messer Niccolò

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Qui sopra, nel ritratto piccolo: il re di Francia Luigi XII (14621515). In alto, nell’immagine grande: Niccolò Machiavell­i (1469-1527) in un quadro del 1894 dipinto dall’artista Stefano Ussi
Ritratti Qui sopra, nel ritratto piccolo: il re di Francia Luigi XII (14621515). In alto, nell’immagine grande: Niccolò Machiavell­i (1469-1527) in un quadro del 1894 dipinto dall’artista Stefano Ussi

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