Presidenti federali anche per 30 anni E le nuove regole allungano la carriera
La proposta limita a due i mandati, ma che si sommano a quelli fatti. «È comunque una svolta»
Un dirigente sportivo è per sempre? Esiste una «casta» dello sport più forte di ogni tentativo di rinnovamento? Di sicuro nelle Federazioni il turnover non va molto di moda: chi è in carica, in genere, riesce a farsi rieleggere. Anche per vent’anni. Spesso, dicono i maligni, riservando più attenzioni (e soldi) alla propria campagna piuttosto che alle attività federali. Con alcuni casi limite finiti dentro inchieste penali: Lucio Felicita, ex padre-padrone del pentathlon, è stato radiato dopo 17 anni ininterrottamente in sella, per aver fondato «associazioni sportive affiliate alla federazione, non effettivamente operative, e utilizzate quale bacino di voti». Insomma un sistema di società fantasma per raccogliere consensi. Alcuni presidenti sono personaggi bizzarri come Ernfried Obrist, numero uno dell’Unione Italiana Tiro a Segno, accusato dai partigiani dell’Anpi (che ne chiesero le dimissioni) di aver posato con uomini in divisa nazista, altri hanno dato vita a sorta di dinastie come Matteo Pellicone, per 32 anni presidente della Federazione judo, lotta, karate, arti marziali, deceduto nel 2013, quando ha preso il suo posto Domenico Falcone, storico segretario della Fijikam dal 1999. Anche se regolarmente eletto, il club dei longevi è comunque ben nutrito: Sabatino Aracu (condannato nel 2013 a quattro anni in primo grado in un’inchiesta sulla sanità) è presidente della Fihp (Federazione hockey e pattinaggio) dal 1993, lo stesso anno in cui sono entrati in carica Romolo Rizzoli (Bocce) e Luciano Rossi (Tiro a volo). E ancora: Carlo Magri guida la pallavolo dal ’95, Vincenzo Iaconianni la motonautica dal ’97, come Francesco Purromuto la pallamano e Siro Zanella lo squash.
Su 45 presidenti di Federazione 27 sono in carica da più di due mandati. Ma ha senso regolare la vita di una Federazione per legge? A metà luglio il Movimento 5 Stelle presentò un emendamento al disegno di legge per porre un limite ai mandati degli organi del Coni e delle Federazioni sportive che rischiava di spazzare via un’intera classe dirigente. La prima firmataria, la senatrice grillina Enza Blundo, parlò di «ventata di democrazia e trasparenza». Dall’estate però il vento della riforma è diventato più una leggera brezza. «Eravamo
Idem Lo so che qualcuno è entrato con i brufoli e adesso ha i capelli bianchi: però da ora si cambia
partiti con l’opposizione del governo e c’è stata una sollevazione contro l’emendamento. All’inizio era un no secco, poi è diventato un nì. Noi le proposte le facciamo, però in commissione cultura siamo tre e non decidiamo da soli. Non era ciò che volevamo, ma è meglio di niente».
Il nodo al quale hanno legato le loro poltrone gran parte dei presidenti federali è quello della retroattività. Anche chi è in carica da oltre vent’anni potrà continuare a occupare il posto almeno per i prossimi otto, ma a conti fatti si tratterà di un decennio. Dal 2004 una norma impone di ottenere almeno il 55% dei voti per poter avere un terzo mandato. La futura legge, se passerà in Parlamento (e nella migliore delle ipotesi entrerà in vigore dall’1 gennaio 2017) ripulirà il curriculum, con un colpo di spugna sul passato. Tutti saranno rieleggibili per altri due mandati. I già citati Aracu, Rizzoli e Rossi potrebbero chiudere (se rivotati) le loro esperienze nel 2025, dopo più di trent’anni. «Rischiavamo una valanga di ricorsi con una legge retroattiva — precisa la Blundo —. Esistono dei casi limite, ma meglio non si poteva fare, il rischio era paralizzare le Federazioni. Almeno abbiamo limitato la piaga dei voti per delega». Nella nuova legge non si potrà rappresentare più di due persone.
Negli ultimi mesi la Commissione Cultura del Senato, prima di licenziare il testo, ha dovuto
27 su 45
Le federazioni riconosciute al Coni sono 45. Sono 27 i presidenti che hanno già fatto più di due mandati, in tre sono al secondo e solo 15, appena un terzo, sono in carica per la prima volta. Ci sono presidenti in carica in modo ininterrotto dal 1993. Secondo una norma del 2004 per avere un terzo mandato bisogna ottenere il 55% dei voti. Con la nuova legge i mandati saranno solo due (Bartoletti) fronteggiare non poche pressioni. L’esito, però, secondo l’ex presidente Figc e oggi senatore di Forza Italia Franco Carraro, è stato un «pastrocchio indecoroso». «Intanto non c’è nessun Paese omologo all’Italia che pone un limite di mandati alle Federazioni. È vero che ricevono contributi pubblici (comunque infinitesimali rispetto al giro d’affari che muovono), ma i presidenti rappresentano il vertice di una piramide di volontari. Non sono favorevole a un’imposizione dello Stato. Nel caso, comunque, avrebbe senso ispirarci al Cio i cui membri restano in carica 12 anni, quindi tre mandati. In otto anni i presidenti non hanno il tempo di farsi conoscere a livello internazionale. E poi, con la scusa di non fare una norma retroattiva, chi è già in carica da una vita può continuare. Era meglio fissare il limite dei tre mandati: chi era già in carica da due mandati ne avrebbe fatto un altro, chi da uno altri due e tutti, anche i più vecchi, almeno uno per organizzare il ricambio».
Di parere opposto l’ex canoista Josefa Idem, vincitrice di cinque medaglie olimpiche, e presidente della Commissione. «In quel modo si rischiava di finire nel caos invece di semplificare, con la possibilità di ricorsi infiniti per la retroattività della norma. Si è arrivati a una sintesi corretta. Lo so che qualcuno è entrato in Federazione con i brufoli e ora ha i capelli bianchi, ma molto meglio la nuova legge: dopo due mandati si decade. Punto. Chi viene eletto ora si mette già nell’ottica di preparare la propria successione. Si apre una nuova stagione sportiva».
Federazione
Carraro Pastrocchio indecoroso Giusti i tre mandati come il Cio, così si limitano le carriere internazionali Blundo Con la retroattività si rischiava una valanga di ricorsi Esistono dei casi limite ma fare di più era impossibile Retroattività Una norma retroattiva rischiava di scatenare i ricorsi. I contrari alla legge: «Otto anni non bastano per una carriera internazionale»