Nobel a Aleksievic, la voce anti Putin
La scrittura come protesta interiore «Voglio restare un essere umano e non arrendermi all’enormità del male»
Massimo riconoscimento per la letteratura all’autrice e giornalista bielorussa Svetlana Aleksievic: per la «polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi». Un messaggio di Stoccolma anche alla Russia di Putin.
La bielorussa Svetlana Aleksievic è una scrittrice amata in tutto il mondo e invisa al regime del suo Paese. «Oggi — mi ha scritto qualche tempo fa, subito dopo l’assassinio camuffato da suicidio del giornalista bielorusso Oleg Bebenin, fondatore del sito d’opposizione Charter97 — è particolarmente importante sentire che non si è soli».
La sua metodologia di scrittura è complessa, rigorosa, controcorrente. Come lei stessa dice: «Ho cercato un metodo letterario che mi permettesse di accostarmi quanto più possibile alla vita reale. La realtà mi ha sempre attirata come un magnete, torturandomi e ipnotizzandomi. Volevo catturarla sulla pagina e alla fine ho scelto un “genere” che combina la viva voce di uomini e donne, confessioni, testimonianze oculari e documenti. È così che percepisco e vedo il mondo: un coro di voci individuali e un collage di dettagli quotidiani. Solo in questo modo il mio potenziale mentale ed emotivo trova piena realizzazione. Non posso fare a meno di essere allo stesso tempo scrittrice, reporter, sociologa, psicologa, sacerdote».
Le opere di Aleksievic potrebbero essere definite una cronaca della nostra epoca, il tracciato evolutivo di varie generazioni sovietiche, dall’infatuazione, seguita dal disincanto, di fronte alla grande utopia al disorientamento del cittadino post-sovietico davanti al suo crollo e alla nuova realtà. La storia nel suo farsi viene «riferita» da donne e uomini comuni. Compito di chi scrive è restituirla con onestà e lucidità, senza sovrapporsi ai propri «informatori» e senza mai dimenticare il debito di fiducia che si è contratto nei loro confronti.
Nata nel 1948, Aleksievic si è laureata in Giornalismo presso l’Università di Minsk e, prima di scegliere definitivamente la strada del reportage di ampio respiro e della scrittura per il teatro, ha lavorato per varie testate giornalistiche. In Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Bulgaria i suoi libri sono stati adattati per il teatro e portati sulla scena, dai suoi drammi teatrali sono stati ricavati svariati film documentari.
Nonostante l’enorme popolarità, dopo il successo di The War’s Unwomanly Face ( La guerra non ha un volto di donna, edito nel 1983, in uscita per Bompiani), è stata accusata di «aver dipinto a tinte non sufficientemente eroiche la donna sovietica» e, fino all’avvento della perestrojka, ha vissuto anni durissimi di persecuzione. È nel 1989, tuttavia, con il reportage Ragazzi di zinco (sulla guerra tra Urss e Afghanistan vista attraverso gli occhi dei protagonisti), che Aleksievic deve affrontare il periodo più cupo della sua vita professionale. Accusata di disfattismo, è denunciata e portata in tribunale. La salverà la mobilitazione degli intellettuali democratici russi e bielorussi e di varie organizzazioni internazionali per i diritti umani, che si schiereranno al suo fianco e bloccheranno l’azione legale intentata contro di lei.
Nel 1993 pubblica Incantati dalla morte, un requiem sulla fine dell’utopia e sullo smarrimento di chi, non sapendo ripensarsi fuori dalla cornice del socialismo reale, sceglie di sottrarsi all’ignoto attraverso il suicidio. Nel 1997 dà alle stampe Preghiera per Cernobyl, un amoroso, monumentale