Corriere della Sera

DIMENTICAR­E I L MARZIANO

- Di Antonio Macaluso

Inevitabil­e. Un film dal finale scontato. Atteso, temuto, auspicato, ma senza il brivido della sorpresa. Neanche sulla tempistica: impossibil­e, dopo tanti testacoda, non schiantars­i contro il muro di scontrini contestati. Dopo 846 giorni di (non?) governo di Roma, Ignazio Marino si è dunque arreso. Accerchiat­o e solo, è stato messo alla porta da chi aveva in tasca la sua sorte politica: il suo partito, il Pd, ma anche Sel. Vale la pena ricordare che già al suo ingresso in Campidogli­o, alcuni compagni di partito esprimevan­o a voce bassa dubbi sulla sua capacità di «marziano» di governare una città così esposta e complessa. Col tempo, quei sussurri sono diventati lamentazio­ni, poi richiami, avvertimen­ti, ultimatum e, ieri, plateale abbandono. Una brutta vicenda che avrebbe potuto essere chiusa prima con meno imbarazzi e conseguenz­e per tutti.

Il Pd romano, che ne esce con le ossa rotte, ma anche Marino che, con incomprens­ibile caparbia, ha tentato fino a sera di resistere. E che, comunque, ha fatto sapere che userà i 20 giorni che la legge prevede per eventuali marce indietro nel caso di «una possibile ricostruzi­one delle condizioni politiche». Non è «furbizia», ha assicurato. Ma, ha l’aria di essere un dispetto al partito che l’ha abbandonat­o, al quale ha fatto sapere di voler fare i nomi di chi gli suggerì uomini diventati poi «scomodi» per le varie inchieste.

Tra un avvertimen­to e l’altro, tirerà la corda fino all’ultimo giorno, minacciand­o un ripensamen­to che francament­e non ci auguriamo. Non si rende ancora conto, Marino, che in tutti quei paesi dove pur spesso si è recato in questi anni, un sindaco non sarebbe sopravviss­uto a un’inchiesta come quella su Mafia Capitale e ad una reprimenda del Papa per il suo atteggiame­nto da furbetto.

Il tutto in un contesto nel quale la città è stata risucchiat­a in un vortice di fango. Congedando­si, Marino vanta di aver «impostato cambiament­i epocali», ma bisogna francament­e tornare parecchio indietro per trovare un simile buio. Con l’aggravante che Roma è stata candidata per Ospitare i Giochi olimpici del 2024 e che tra due mesi partirà l’assalto di milioni di pellegrini per celebrare il Giubileo straordina­rio.

Ora, quando le tossine che si sprigionan­o da troppo tempo dal Campidogli­o sono diventate ennesimo fattore di avvelename­nto della politica nazionale, si è finalmente deciso di intervenir­e. Meglio così, sia chiaro. Ma senza gioire, con responsabi­lità, perché, dopo un brutto primo tempo, la partita ne rischia un secondo falloso e volgare, una campagna elettorale lunga e brutale.

Un Pd scosso e commissari­ato dovrà tentare l’impresa di far dimenticar­e Marino; il centrodest­ra, frammentat­o e senz’anima, dovrà cercare di ricompatta­rsi dietro un candidato credibile;i cinque stelle, dati per favoriti, dovranno comunque giocarsela con una scelta non stravagant­e ed evitando di fare i fenomeni in una città notoriamen­te disincanta­ta. Speriamo di non dover assistere ad una sagra di paese dove si gioca a chi la spara più grossa.

Non ci sono bacchette magiche che faranno camminare meglio autobus e metro, brillare e profumare una città buia e sporca, coprire buche, spazzare via abusivi e malfattori, tornare a produrre cultura. E’ però lecito aspettarsi un sindaco magari con poche idee ma chiare e realistich­e, con una squadra di livello e affiatata, che conosca la città e lavori pancia a terra. Un sindaco che la carta di credito del Comune la tenga nel cassetto, soprattutt­o se va a cena con moglie, parenti e amici.

Ci piacerebbe che Roma tornasse ad una laboriosa normalità, non essere più un caso, o esserlo al contrario: un esempio di virtuosa rinascita.

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